mercoledì 12 giugno 2002

VITA, PRODIGI E INSEGNAMENTI OCCULTI DI JOHANN TRITEMIUS

di Enrica Perucchietti


Tra i personaggi più celebri dell’occultismo rinascimentale spicca la figura dell’abate di Sponheim Giovanni Tritemio (1462-1516), amico e maestro del più famoso filosofo e alchimista Enrico Cornelio Agrippa e dello scienziato esperto di arti occulte Paracelso. La fama di Tritemio è dovuta in primo luogo a una sua opera di magia applicata o operativa, Steganographia, attorno alla quale nacquero presto dicerie e leggende e che divenne da subito un vero e proprio classico dell’occultismo. Tritemio compose il celebre trattato di magia operativa intorno al 1499. Bruciato dalla Chiesa fu stampato a Francoforte solo nel 1606 ma versioni manoscritte dell’opera circolarono per tutto il xvi secolo. Si tramanda che il trattato originale, distrutto dalla censura ecclesiastica, contenesse il segreto per comunicare a qualunque distanza senza l’ausilio di lettere o messaggeri, attraverso una forma di telepatia. Ma si è anche ipotizzato che la versione che iniziò a circolare in segreto in forma manoscritta non fosse la trascrizione esatta dell’originale. Supponendo che ci siano stati errori nella lettura e nella copiatura, il testo giunto sino a noi non sarebbe lo stesso bruciato dall’indice ecclesiastico.


La vita
Tritemio nacque il primo febbraio del 1462 a Tritenheim, nella contea di Treviri, in Germania. Il suo vero nome era Johann Heidenberg, figlio di un cavaliere e di una giovane aristocratica. Il padre morì quando il piccolo Johann non aveva ancora compiuto due anni. La madre, ricca proprietaria terriera si risposò dopo sette anni di vedovanza. Il nuovo patrigno si rivelò presto essere un uomo tirannico e rozzo, che impedì al ragazzo di studiare nonostante le sue eccezionali doti intellettuali. Johann si allontanava spesso di notte da casa per andare da un vicino che gli insegnò a leggere e scrivere. Accortosi che il patrigno non gli avrebbe mai consentito di formarsi l’educazione che desiderava, Johann abbandonò Tritenheim dirigendosi verso Wurzburg, dove ebbe modo di riparare presso la scuola di un noto umanista, Jacob Wimpheling. In brevissimo tempo imparò il latino intraprendendo gli studi classici. Nel 1479 si trasferì a Heidelberg, famoso centro culturale tedesco, dove dimostrò di possedere una ferrea volontà e un’incredibile memoria studiando giorno e notte per recuperare il tempo perduto. Imparò perfettamente il latino, il greco e l’ebraico, quest’ultimo fondamentale per gli studi cabalistici che stavano tornando di moda grazie soprattutto ai filosofi italiani quali Giovanni Pico della Mirandola. Formatosi un’invidiabile culturale umanistica, la tradizione narra un incontro che gli avrebbe cambiato la vita: intorno al 1479 conobbe un “Maestro”, un adepto dei Rosacroce che lo iniziò ai segreti dell’Arte alchemica. Fu allora che Johann assunse, in ricordo del paese natale, lo pseudonimo di Trithemius. Nel 1483 decise di far ritorno a casa per trovare la madre. Al momento della partenza il “Maestro” lo salutò avvertendolo che avrebbe trovato la “chiave” della sua vita lungo la strada… Il destino tesseva le fila della sua vita, come l’adepto rosacruciano gli aveva predetto.


L’Abate Tritemio
Durante il viaggio di ritorno, un’improvvisa tormenta di neve costrinse il giovane a riparare presso il monastero benedettino di Sponheim. Appena varcata la soglia si accorse che il suo destino si stava compiendo. Non sarebbe tornato a Tritenheim. L’asilo presso il monastero diventò ospitalità, l’ospitalità noviziato. Tritemio chiese di essere accolto nell’Ordine e dopo due anni pronunciò i voti solenni giurando fedeltà alla Regola benedettina. Il celebre mago e occultista ottocentesco Eliphas Levi descrisse nella sua Storia della Magia Tritemio come “il più grande mago dogmatico” dell’epoca, “un abate dell’ordine di San Benedetto di ortodossia irreprensibile e di ottima condotta”. La sincera fedeltà e devozione alla fede cristiana di Tritemio sono note. Ad appena 22 anni, alla morte dell’Abate, fu scelto proprio lui, giovanissimo e ultimo arrivato, a reggere e amministrare il monastero. Il compito non fu facile. Tritemio si rese subito conto che l’abbazia era sull’orlo della crisi finanziaria: i muri cadevano sgretolandosi a causa dell’incuria e sotto il peso degli anni, e il monastero stava per essere schiacciato da una montagna di debiti. I monaci avevano tradito la Regola per crogiolarsi nell’ozio, nell’indifferenza e nell’arbitrio. L’elezione di Tritemio fu una vera e propria benedizione per la comunità benedettina. Egli risvegliò i confratelli dal torpore in cui erano caduti scotendoli dalla pigrizia e dall’ignoranza di cui erano preda. Nel giro di pochi anni ristabilì il dissestato bilancio economico, rimise in sesto i muri dell’abbazia e risvegliò le coscienze degli indolenti monaci, facendone colti trascrittori di antichi codici. Il monastero di Sponheim si affermò presto in tutta Europa per la sua immensa biblioteca i cui volumi erano stati raccolti, copiati e miniati a mano dai monaci.


La fama di mago
Presto iniziarono a diffondersi dicerie sul giovane Abate. Molti lo giudicavano un santo, un uomo straordinario che aveva riportato alla luce il dissestato monastero, altri, un mago. Ma il noto interesse per l’ermetismo non sembrava soltanto teorico. La vastissima cultura di Tritemio nel campo delle scienze occulte sfociò anche nella magia pratica. Le cronache narrano di apparizioni, evocazioni, fenomeni paranormali. Tritemio era in grado di predire il futuro, di evocare gli spiriti, di dialogare con le ombre dei defunti, di produrre fenomeni fisici attraverso incantesimi. In pochi anni la sua fama di mago si diffuse e personaggi illustri si recavano da lui per consulti o insegnamenti. La storia ci ha tramandato i nomi dei suoi due più celebri discepoli: Cornelio Agrippa e Paracelso. L’iniziazione rosacrociana gli aveva tramandato riti e pratiche antiche: “magia naturale”, simboli astrologici, formule evocatorie, nomi angelici, Cabala, rientravano tutti nelle competenze dell’Abate. La fama delle sue straordinarie capacità e dei prodigi magici da lui compiuti giunsero fino all’imperatore Massimiliano, il quale, avendo da poco perso l’adorata moglie, fece chiamare Tritemio a corte per chiedergli un consulto sulla necessità o meno di risposarsi come suggerito dai suoi consiglieri. Giunto a corte e ascoltate le richieste del sovrano, Tritemio gli suggerì di ascoltare le parole dell’imperatrice Maria, la defunta moglie di Massimiliano. Questi, sbalordito, esclamò che non era possibile in quanto era morta. Tritemio con tranquillità replicò che l’avrebbero richiamata dal regno dei morti. Dopo aver tracciato per terra un pentacolo di evocazione magica e dopo aver pronunciato le apposite formule, apparve lo spirito della defunta sovrana, splendente in un alone di luce. Lo spettro predisse all’imperatore che avrebbe sposato una giovane fanciulla di Milano ma non ebbe modo di concludere la predizione che il marito crollò a terra svenuto per lo spavento. Riavutosi dall’emozione, sposò la figlia del defunto Galeazzo Sforza, duca di Milano, affidata alla tutela dello zio Ludovico il Moro.

La solitudine volontaria
La dura disciplina imposta da Tritemio iniziò a causare disaccordi tra i monaci di Sponheim che, nel 1506, approfittarono dell’assenza dell’Abate per ribellarsi. Insorti, i monaci deposero Tritemio dalla carica di Abate nominando uno di loro. Venuto a conoscenza della sommossa, Tritemio scelse di non far ritorno al monastero per non acuire le contestazioni e si ritirò volontariamente in solitudine a Wurzburg presso l’abbazia di San Giacomo dove trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita, alternando la stesura dei manoscritti alla meditazione. Morì il 15 dicembre del 1516.


Steganographia
Come spiegato da Eliphas Levi, Tritemio, forse per non incorrere nella censura ecclesiastica, non scrisse “apertamente” sulle scienze occulte, come invece avrebbe fatto uno dei suoi discepoli più famosi, Cornelio Agrippa. Tutte le opere di Tritemio sulla magia “girano attorno all’arte di tenere nascosti i misteri”. Con i suoi trattati Steganographia, Clavis Steganographiae e Polygraphiae libri sex, Tritemio gettò infatti le basi della moderna scienza della steganografia. Egli elaborò 40 sistemi principali e 10 sottosistemi secondari ricorrendo a combinazioni di acronimi e utilizzando dischi rotanti basati sulla tecnica della sostituzione monoalfabetica già usata da Giulio Cesare nella trasmissione di informazioni belliche a Cicerone e documentata nel De bello gallico. Lo scopo di Tritemio era di nascondere un testo segreto nelle trame di un messaggio di copertura, senza il bisogno di ricorrere alle tecniche fisiche di origine greca come la rasatura dei capelli. Lo stesso abate definì lo scopo della steganografia come «l’arte del far conoscere a chi è lontano, per mezzo di scrittura occulta, la volontà del proprio animo». Unica premessa per l’efficacia dell’artificio era che il mittente e il destinatario possedessero le chiavi del medesimo sistema di occultamento, per estrarre il reale significato del messaggio. La Steganographia voleva essere al contempo un’opera di criptografia e di scrittura cifrata, ma anche un trattato di magia angelica di stampo cabalistico. Divisa in tre libri, il primo era diretto all’invocazione degli angeli che presiedono al controllo delle diverse parti della Terra (o distretti); il secondo illustrava gli angeli del tempo, che regolano le ore del giorno e della notte; il terzo era dedicato ai sette angeli, superiori ai precedenti colleghi angelici, che controllano i sette pianeti. Lo scopo dell’autore era di servirsi della rete angelica per trasmettere messaggi a distanza attraverso metodi fino ad allora sconosciuti, senza utilizzare le tecniche tradizionali dell’epoca e per conseguire la conoscenza “di tutto ciò che accade nel mondo”. Prevenendo il rischio che le informazioni potessero cadere in mani sbagliate le frammentò, disseminandole all’interno delle tre parti dell’opera. Ogni invocazione angelica inizia con il nome dello spirito da invocare e segue con formule all’apparenza astratte, banali o insignificanti che nascondono in realtà il nucleo della formula evocatoria. Il valore tecnico dell’opera è molto complesso perché alterna informazioni sulla magia cabalistica a complessi calcoli matematici, sia in rapporto al valore numerico dei nomi angelici calcolato sulla base della gematriah, sia di carattere astrologico. Possessore di una copia di Steganographia e conoscitore della summa magica di Agrippa, queste tecniche furono utilizzate e perfezionate da John Dee ed Edward Kelley nei rituali di evocazioni angeliche, finendo per divenire dei veri e propri classici della letteratura occultistica. Ma non solo. Anche Giordano Bruno si servì dell’opera di Tritemio per colmare la propria lacuna linguistica in fatto di ebraico. Così nelle proprie ricerche e opere magiche, avendo solo una superficiale conoscenza dell’ebraico, fece continui riferimenti, seppur impliciti, alla Steganographia e alla Philosophia occulta di Agrippa.


Pentacoli ed evocazioni spiritiche
Nel terzo capitolo del Rituale dell’Alta Magia, Eliphas Levi parla di Tritemio spiegando che nella Steganographia illustrò “il segreto degli scongiuri e delle evocazioni in maniera filosofica e naturale”, giudicata da Levi forse “troppo semplice e troppo facile”. Per Tritemio evocare uno spirito “significa entrare nel pensiero dominante di questo spirito e, se sulla stessa linea ci eleviamo più in alto, trascineremo con noi questo spirito ed egli ci servirà. In caso contrario sarà lui a trascinarci nel suo cerchio e saremo noi a servirlo. Scongiurare significa opporre a uno spirito isolato la resistenza di una corrente o catena: cum iurare, giurare assieme, cioè fare un atto di fede comune. Più questa fede sarà entusiastica e potente e più lo scongiuro avrà efficacia”. Per questo sono necessari i pentacoli e i cerchi di protezione tracciati intorno al mago durante l’operazione, dai quale non deve uscire se non vuole perdere il potere o peggio rischiare la vita. Ed è anche per la pericolosità di questi rituali che la magia, così come l’alchimia, ha prediletto un linguaggio oscuro, “ermetico”, per farsi comprendere dagli iniziati e per confondere e allontanare gli stolti.