lunedì 27 giugno 2011

NO TAV: agenti sfondano le barricate a Chiomonte. Ma i valligiani promettono, “perso solo un round, non la guerra”. Quali interessi si celano dietro l’opera.

di Enrica Perucchietti

“Lo stato non può arrendersi”, incita il ministro Matteoli, salutando con gioia l’ennesimo blitz delle forze dell’ordine su in Val di Susa. Casini biasima l’uso della violenza contro la polizia, mentre la Marcegaglia invita il Governo a fare in fretta, per non perdere i finanziamenti.
Questo è il messaggio che da anni i Governi che si sono succeduti – di destra e di sinistra - e i Media nazionali – non locali – ci trasmettono. Che esiste un limitato gruppetto di No Tav brutti, anarchici e violenti che si oppongono irrazionalmente alla costruzione della linea ad Alta Capacità. E insistono, per giunta. Cocciuti nel voler far perdere al nostro Paese questa opportunità. Un po’ come il Ponte sullo Stretto di Messina.
Ma opportunità per chi?
Chi scrive ha lavorato per sei anni in una redazione piemontese e ha visto e vissuto da vicino la vera realtà del movimento NO TAV: le manifestazioni pacifiche, le minacce anarchiche, infine, le sommosse di popolo.
Solo i giornalisti locali – a parte alcuni inviati di La7 e delle Iene – hanno potuto toccare da vicino il vero volto di questa minaccia valligiana, formata non da appartenenti ai centri sociali, o almeno non solo. Il movimento raccoglie il dissenso di gran parte della Valle: uomini, donne, anziani, giovani. Nessuno vuole linea qui. Chi ha ceduto è perché è colluso con gli interessi economici che la costruzione dell’infrastruttura porterà. Molti ovviamente, ma che verranno spartiti tra i soliti nomi, i soliti imprenditori che parteciperanno, si badi bene, alla costruzione dell’infrastruttura, non al suo utilizzo. Interessi che non giustificano i lavori decennali per la costruzione di un’opera inutile quando sarebbe stato possibile il potenziamento della linea esistente. Senza contare il pericolo amianto che con carotaggi di superficie vorrebbero rassicurarci che non esiste.
Mi ricordo quando nel 2005, dopo gli scontri a Venaus – o meglio, dopo che le forze dell’ordine aggredirono e malmenarono di notte donne, anziani, ragazzi ivi tranquillamente accampati – l’allora ministro Bonino e il sottosegretario Rosso giustificarono l’inaudita violenza come legittima risposta all’occupazione abusiva del sito. Sentire la legittimazione dell’uso della forza contro il dissenso in forma pacifica – come allora fu – da parte di un leader dei radicali mi fece accapponare la pelle. Allora un mio collega aveva passato le notti a Venaus e documentato con un video – l’unico – gli scontri. Il video fu subito sequestrato dalla questura, ma solo dopo averlo sbobinato – si montava ancora in analogico. Ciò che emergeva era un’inaudita violenza diretta “a caso” contro gli occupanti: anche donne e anziani presi a manganellate mentre dormivano nelle tende. Nessuna traccia di cospiratori anarchici, di sassaiole o altro. Questo è giornalismo d’inchiesta: un collega che passa le notti con i manifestanti per capire il perché del loro rifiuto all’infrastruttura, e che rischia di prendersi una manganellata in testa pur di documentare i blitz e la reazione dei No Tav ad essi. Non le buffonate che giornalisti nazionali che non hanno mai messo piede in Val Susa ci propinano ogni giorno. Il giornalista di turno ci rifila uno stand up in un luogo al riparo o monta il servizio con le immagini dell’operatore che ha assistito agli scontri, comodamente seduto in una cabina di montaggio a qualche centinaio di km di distanza, facendo riferimento alle notizie ANSA che gli arrivano.
Al momento solo Vendola pare aver condannato il blitz notturno. Se un’intera popolazione non vuole un’opera – ed è stata chiara nel confermarlo – come può un governo “democratico” ricorrere alla forza dopo tavoli dell’Osservatorio farsa? Si badi bene, non è una critica univoca al Governo Berlusconi. Anche il Pd sostiene con forza la costruzione della linea e ha dovuto allontanare dal partito coloro che erano contrari alla sua costruzione. Ciò dimostra quanto i partiti siano asserviti a logiche economiche e di lobby. Non conta lo schieramento – destra, centro o sinistra – nei fatti contano gli interessi a cui fanno capo i vertici di partito che dettano le norme da seguire.
Come si può legittimamente espropriare una popolazione del diritto di manifestare e di proteggere il proprio territorio dallo sciacallaggio quando il trasporto su rotaia è in netto calo?
Restando su un piano meramente economico, lungi dalle diatribe politiche, il Professor Enrico Colombatto, ordinario di Politica economica dell’Ateneo di Torino, PHD alla London School of Economics ed esponente della scuola liberista, ha fatto notare l’inutilità della linea: “tutti i dati confermano come a livello nazionale il traffico transfrontaliero sia cresciuto in misura infinitesimale e perlopiù in direzioni diverse dall’asse Lione-Kiev. Così come pensare di trasferire completamente su rotaia ciò che attualmente circola su gomma è pura velleità”.
Scetticismo condiviso anche dagli investitori privati che non hanno mostrato interesse per la costruzione dell’opera: “questo disimpegno da parte di soggetti che per loro natura sono mossi dalla logica del profitto è di per sé un segnale che dovrebbe allarmare sulla reale convenienza economica di questo progetto”, conclude Colombatto in un’intervista allo Spiffero.
Opinione condivisa da uno studio pubblicato sul sito di Tito Boeri, secondo cui negli ultimi dieci anni il traffico su strada – gomma – è rimasto invariato, mentre quello su rotaia è diminuito del 25%. Il traffico merci, infatti, tra Torino e Lione avviene prevalentemente su strada.
Opinione caldeggiata anche dal noto meteorologo Luca Mercalli che rilancia dalle pagine del Fatto Quotidiano: “I numeri li hanno ben chiari i cittadini della Val di Susa” – sollecita Mercalli – “che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento No Tav”. E Mercalli in Val di Susa ci vive, quindi ha un’idea più chiara dei colleghi che non ci hanno mai messo piede ma parlano a vanvera. Il meteorologo continua: “Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 km di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo, di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia”. I dati a cui fa riferimento Mercalli derivano dagli studi eseguiti dall’Università di Siena e dall’Università della California. Il risultato è identico: “la cura è peggio del male”, sentenzia Mercalli.
Il sospetto è dunque che il vantaggio del TAV – Treno ad Alta Velocità - sia la sua stessa costruzione, ovvero un business per i costruttori senza ricadute certe sugli imprenditori locali e sul turismo. I miliardi di euro pubblici – vengano dall’UE o dall’Italia - che verranno spesi serviranno solo a ingrassare i soliti, le Mafie nostrane, a cui attingeranno quei politici che già ora hanno conflitti di interessi con nomine o ruoli nei consigli di amministrazione delle ditte appaltatrici e che nessuno osa rendere pubblici. Ma che tutti conoscono come le imputazioni a loro carico.
E non stiamo parlando del Premier.
Ma loro, i valligiani, non si arrendono.
Per loro è solo un altro round perso, non la battaglia. Paola del leader No Tav, Alberto Perino.

lunedì 20 giugno 2011

VIDEO: CLUB BILDERBERG, OBAMA E I "PADRONI DEL MONDO"

BILL WARREN: TROVERò IL CORPO DI BIN LADEN E LO RESTITUIRò ALLA FAMIGLIA


di Enrica Perucchietti


«Come molti altri cittadini americani, non credo e non ho fiducia nel Presidente. Obama ha un ego smisurato […] Non è leale nei confronti dell’America. È un impostore. Un disgustoso truffatore. […] Ha fatto molte promesse in campagna elettorale che non ha mantenuto. Ci aveva promesso lavoro. Un migliore sistema sanitario. Infrastrutture, etc. Invece ha fallito miseramente mentre sempre più americani perdono casa, macchina, lavoro».


Non usa mezzi termini Bill Warren per descrivere il proprio pensiero sull’amministrazione Obama.

Non è stato facile contattarlo. È balzato agli onori della cronaca internazionale per la sua decisione di cercare negli abissi del Mar Arabico la salma di Osama bin Laden. È un personaggio eccentrico con la passione della musica e dell’archeologia subacquea, ma non è uno sprovveduto. Anzi. Stanziando un budget di circa 500 mila dollari, ha organizzato la spedizione che tra meno di due settimane partirà alla volta del Pakistan per gettar luce sulla “verità” diffusa dalla Casa Bianca sulla morte dello Sceicco del Terrore.

Per avvicinarlo ho disseminato il web di messaggi, registrandomi in forum di collezionisti di reperti antichi e cercando le sue tracce ovunque. Finchè non sono riuscita a contattarlo. Volevo capire direttamente da lui che cosa lo aveva spinto realmente a intraprendere questa spedizione. Con la gentilezza e la disponibilità di un uomo d’altri tempi mi ha rilasciato una lunga intervista promettendomi di tenermi aggiornata durante la spedizione e di risentirci poi al suo ritorno. Questo materiale, che inserirò nel mio prossimo libro, dedicato proprio a Osama bin Laden e ai nuovi equilibri di geopolitica in Medio Oriente, può rivelarsi davvero esplosivo. E non soltanto in senso figurato. Se da un lato la missione ha suscitato l’interesse dei Media internazionali, dall’altra rischia di ritorcersi contro di lui. L’unico modo per uscirne “vincente” sarebbe rinvenire nei fondali marini il corpo di un sosia di bin Laden che i Navy Seals potrebbero aver utilizzato come diversivo. In questo caso consiglierei a Bill di non far ritorno in California, dubito che troverebbe un comitato d’accoglienza ad aspettarlo… Qualora non si trovasse nulla non si scioglierebbe il dubbio sulla morte del terrorista saudita: è davvero stato ucciso dai Navy Seals e i suoi resti sono stati sbranati dagli squali, oppure non è mai esistito alcun corpo e la versione del Pentagono è stata tutta una montatura per far risalire Obama nei sondaggi in vista della ricandidatura per le prossime elezioni?

Se si dovesse invece trovare il corpo del vero Osama bin Laden – Warren è già attrezzato per la prova del DNA e ha offerto alla famiglia bin Laden di restituire la salma per una degna sepoltura – rischierebbe ritorsioni da parte del Pakistan e di Al Qaeda e nel migliore dei casi il pubblico ludibrio in Patria.

Perché allora un imprenditore che non ha bisogno di soldi né di pubblicità come Warren ha deciso di imbarcarsi letteralmente in un’impresa così pericolosa?

Ce lo spiega lui stesso, raccontando con slancio patriottico di essersi indignato per “le bugie di Obama” che «ha guadagnato consensi con la supposta morte di bin Laden, nonostante la totale assenza di prove a supporto». Ma perché partire per una spedizione che alcuni potrebbero bollare per una pagliacciata e altri come una missione suicida? «Perché Obama sta portando alla rovina questo Paese» risponde Warren, facendo suoi gli argomenti della destra repubblicana. Così si unisce alle invettive di Donald Trump in merito al famigerato certificato di nascita: «Questa è un’altra delle ragioni che mi spingono a non credere nelle parole del Presidente. Si è sempre rifiutato di mostrare il suo certificato di nascita e ora, dopo più di due anni, ne mostra uno che contiene delle evidenti incongruenze. Su questo mi associo a Donald Trump nel giudicare Obama un impostore».

In quanto conservatore, Warren giudica come un vero e proprio fallimento la missione in Libia. Non però, perché non si sarebbe dovuto intervenire sul territorio libico, ma perché il Pentagono avrebbe dovuto mantenere il comando delle operazioni e non cederlo alla NATO, giudicata da Warren troppo “debole”: «L’America non avrebbe mai dovuto permette alla NATO di subentrare nella direzione della campagna militare. L’America avrebbe la capacità di risolvere i problemi sul suolo libico in UN SOLO giorno», riferendosi alla cattura o uccisione di Gheddafi.

Tornando a Osama, Warren spiega i suoi dubbi in merito alla versione fornita dalla casa Bianca: «Personalmente, il 75% del mio cervello mi dice che l’America ha ucciso Osama bin laden il 2 maggio con uno o due colpi in testa e uno al petto. Ma, è davvero troppo strano che il mio Presidente si sia rifiutato di mostrare foto e/o video del cadavere. La maggior parte dei miei amici stranieri, musulmani, ma anche russi o tedeschi, non crede alla storia della sua morte. Questa è una delle ragioni che mi spingono ad andare a cercare il corpo. Se lo troverò, lo offrirò alla famiglia bin Laden per un’appropriata sepoltura».

Detto fatto. Senza perder tempo e per assicurarsi la protezione del clan saudita, Warren ha contattato la famiglia bin Laden attraverso il sito della Compagnia, promettendo loro la salma in caso di ritrovamento. Ma prima di ciò sarà necessaria la prova del DNA. Su questo fronte il genetista Ryan Lehto, specializzato nelle analisi anche su frammenti antichi o corrotti di DNA, si è offerto di svolgere gratuitamente le analisi in caso del ritrovamento del corpo.

Ora noi spettatori non possiamo che attendere che la spedizione abbia inizio.

giovedì 9 giugno 2011

CLUB BILDERBERG: BORGHEZIO FERMATO DAI "PADRONI DEL MONDO"

“Brutale”.
Con il naso sanguinante l’eurodeputato Mario Borghezio ha definito così il trattamento subito dalla sicurezza della riunione annuale del Gruppo Bilderberg che a Saint Moritz gli ha impedito con violenza di assistere alla riunione.
«Ho intenzione di presentare denuncia» ha spiegato Borghezio prima di essere condotto in caserma dalla polizia svizzera. «Chiedevo solo di assistere» ha continuato, «il trattamento subito mi conferma che questa è una riunione molto importante chiamata a prendere decisioni rilevanti senza alcun controllo popolare. È evidente che il Club Bilderberg è una società segreta».
Lo storico esponente del Carroccio è noto per aver più volte attaccato pubblicamente il Gruppo Bilderberg. Pochi, prima di lui hanno osato sfidare apertamente i poteri forti che si celano all’interno del Club. Tra tutti Alex Jones, Jim Tucker e Daniel Estulin.
Mai nessuno in Italia aveva però puntato il dito contro il Gruppo come ha fatto Borghezio.
Ho avuto modo di collaborare con lui durante la stesura del mio saggio L’altra faccia di Obama. Mentre raccoglievo materiale sul coinvolgimento di Barack Obama e della sua amministrazione con gruppi occulti legati alla Massoneria e alla Commissione Trilaterale, è emerso il ruolo guida che gli esponenti del Gruppo Bilderberg hanno nel dettare l’Agenda economica americana e mondiale. In questo senso è comparso anche il nome di Mario Borghezio come strenuo oppositore della cortina di segretezza che circonda il Gruppo.

Quasi tre anni fa, mentre in tutto il mondo serpeggiava l’Obamamania – Italia compresa sotto la direzione del PD che, non avendo una guida “forte”, sperava che Veltroni si illuminasse della luce riflessa del Senatore americano – la Lega Nord si distinse come voce fuori dal coro grazie alle stilettate di Borghezio. Ovvio che il centrodestra manifestasse perplessità nei confronti di un candidato democratico, ma il Carroccio, per bocca dell’eurodeputato Mario Borghezio, non ha scagliato i consueti strali d’ordinanza contro l’avversario di McCain, ma si è differenziato dal mare di banalità di rito dei colleghi destrorsi con motivazioni documentate e serie.
Borghezio aveva infatti lanciato in tempi non sospetti l’allarme sul candidato democratico, bollandolo come “burattino” di sette segrete e dell’elite finanziaria che ne stava sostenendo la campagna elettorale. Non si deve appartenere a uno schieramento politico per rendersi conto dell’illusione creata a tavolino dalla Casta Americana: con Obama ci è stato offerto di “credere” irrazionalmente in un prodotto di marketing che ci infondeva “speranza” e la sensazione di un “cambiamento” imminente. Questo Messia multietnico, questo outsider della politica si è rivelato l’ennesimo burattino delle lobbies di Wall Street, disattendendo punto per punto il suo programma elettorale.

All’indomani dell’insediamento del neo Presidente a Washington, l’eurodeputato della Lega Nord aveva così commentato: «Vedremo presto se agirà di testa propria o secondo le direttive dei burattinai che lo hanno finanziato». Riferendosi all’«alta finanza che gli ha permesso di spendere più di qualunque altro candidato della storia americana». Non solo: «La favola bella dei finanziamenti miliardari giunti ad Obama esclusivamente attraverso modeste contribuzioni di singoli sostenitori nasconde una realtà meno confessabile: quella di ben più cospicui fondi elargiti da personaggi e gruppi dell’alta finanza come Soros o Pritzker: come mai nessuno, specie in Italia, scriva e documenti alcunché sui finanziamenti palesi ed occulti che hanno permesso al candidato Obama di svolgere la più strabiliante e costosa campagna presidenziale della storia americana».
Dopo aver affossato i giganti dell’economia che si celano dietro al Presidente, Borghezio aveva profetizzato in tempi non sospetti un imminente voltafaccia di Obama, proprio come è avvenuto nella gestione della crisi finanziaria che ha visto la Casa Bianca adottare provvedimenti salva Banche a discapito dei contribuenti: «La magra proposta di Obama di sospendere i pignoramenti a carico dei piccoli proprietari immobiliari per soli tre mesi in attesa di una rinegoziazione degli interessi non deve fare dimenticare l’appoggio pieno dato al piano di salvataggio del Segretario del Tesoro Paulson delle maggiori banche di investimento» aveva tuonato Borghezio. E ancora: «È ovvio che, con simili sponsors alle spalle, è assai poco credibile che Obama possa promuovere una politica di effettiva liberazione del suo Paese dalla morsa della crisi finanziaria causata da personaggi che, come Soros, hanno per orizzonte morale la speculazione sulla pelle dei comuni cittadini».
Le profezie di Borghezio in merito a Obama si sono avverate. Le promesse elettorali sono state disattese punto per punto. Ma uno dei punti su cui aveva insistito, era anche il coinvolgimento dell’allora candidato democratico e di coloro che lo sostenevano con il Gruppo Bilderberg.

Pochi mesi dopo le invettive leghiste, nel 2008, toccò ad Alex Jones rendere pubblica la partecipazione di Obama e di Hillary Clinton alla riunione annuale del Club in West Virginia. Il fatto destò scalpore per la “sparizione” di Obama e della Clinton dai radar di giornalisti e fotografi per un paio di giorni. I media furono addirittura ingannati dall’ufficio stampa di Obama: vennero indotti  a credere che i due stessero salendo in aereo per ritornare ai loro quartieri generali elettorali in Chicago insieme al candidato prescelto, mentre in realtà la carovana di Obama si fiondò nel Nord Virginia, dove quella settimana si teneva la riunione dei Bilderberg. Un espediente a dir poco geniale!
Nessuno sapeva dove fossero finiti e per quale motivo non si potesse conoscere la loro destinazione. Scartata immediatamente l’ipotesi della “fuga d’amore”, Alex Jones, Jim Tucker e Daniel Estulin hanno presto rivelato che il loro allontanamento era da connettere alla riunione del Gruppo Bilderberg. Lo staff di Obama non ha né ammesso, né negato. E si sa, ogni Presidente prima della sua candidatura, deve essere approvato dall’elite finanziaria, proprio come accadde a Clinton e ai Bush, a Carter, a Reagan, ma anche a Tony Blair, a John Major, Francois Mitterand, Romano Prodi, Silvio Berlusconi, etc.

Qualcuno si starà ancora chiedendo chi siano gli appartenenti al Gruppo Bilderberg. Per Bilderberg si intende una specie di club privato composto esclusivamente da Presidenti, Primi Ministri, banchieri internazionali, economisti di punta, editori delle maggiori testate internazionali, all’interno del quale i membri si ritrovano per fare il punto della situazione politica, economica e militare e per discutere delle linee guida dell’Europa e dell’America in particolare. Estulin la definisce per questo «l’organizzazione più segreta al mondo» e in tal senso il brutto allontanamento di un eurodeputato come Borghezio dalla riunione di Saint Moritz ne è l’ennesima riprova.
Sembra infatti che ogni cambiamento di regime politico, ogni riforma che possa avere ripercussioni a livello globale vengano prima discussi e decisi nei meetings assolutamente segreti e blindati del Gruppo. Il luogo dei loro incontri viene deciso e diffuso ai partecipanti soltanto una settimana prima della data e i giornalisti così come i normali cittadini che non compaiono sulla lista degli invitati non possono avvicinarsi agli alberghi di lusso dove questa elite si ritrova. Davanti a una riunione del Gruppo anche un europarlamentare del calibro di Borghezio – al quale normalmente sono aperte tutte le porte - appare come un comune cittadino. E per questo aggredito e messo in stato di fermo dalla polizia in caso di avvicinamento alla sede dell’incontro.
Solo grazie ad alcune fughe di notizie e a giornalisti investigativi del calibro di Jim Tucker e Daniel Estulin – e ora di Borghezio - che non si sono mai arresi neppure davanti alle minacce del servizio di sicurezza del club, sono emerse alcune notizie in merito alle decisioni che il Gruppo si trova a prendere.
La segretezza dei loro incontri è necessaria perché, secondo Estulin, «I membri del Bilderberg gestiscono le banche centrali, così si trovano nella posizione di poter stabilire i tassi di interesse, i livelli di emissione della moneta, il costo del denaro e quello dell’oro, e la quantità di prestiti da erogare a un determinato Paese. Manipolando l’emissione del denaro e gestendo la rete degli affari mondiali, creano per il loro interesse guadagni di diversi miliardi di dollari. Sono guidati solo dalla volontà di accaparrarsi denaro e potere».
Sono loro i “Padroni del Mondo”, come li si definisce tra gli addetti ai lavori.
E, sfortunatamente, loro lo sanno meglio di noi.

venerdì 3 giugno 2011

IL BATTERIO KILLER METTE AL BANDO I CIBI BIOLOGICI?

di Enrica Perucchietti


Mi sorge un dubbio che non riesco a scacciare tanto facilmente.
Riguarda l’ennesima pandemia che sta mettendo in allarme l’Europa. Erano mesi, a pensarci bene, che non si sentivano i Media starnazzare l’imminente contagio globale da parte di polli o maiali.

La parte del capro espiatorio è toccata questa volta ai poveri cetrioli, sui quali è stata cucita la A non di Adulteri, ma di Allarme Escherichia Coli. Dopo aver sabotato i poveri ortaggi e spaventato mezzo mondo, si è scoperto che il batterio killer – ultimamente i batteri si sono fatti le ossa e sono diventati tutti killer – è una variante sconosciuta e mutante.

Dopo esserci fatti tutti un po’ più furbi e diffidenti nei confronti dell’OMS e delle vaccinazioni “preventive” a cui ci vorrebbero sottomettere periodicamente, è d’altronde vero che il termine “mutante” racchiude in sé l’ancestrale terrore di creature mutaforma. I non addetti ai lavori a sentire starnazzare di batteri o virus mutanti – senza capirci granché - vengono colti da un sentimento di terrore atavico. Lo puoi allontanare col buonsenso, ma ritorna a radicarsi in un angolino della mente. Difficile restare indifferenti di fronte al bombardamento quotidiano di termini quale “allarme”, “killer”, “contagio”, “rischio”, “morti”, “malati”, “micidiale”, a cui si aggiunge il terribile aggettivo “mutante”.

Ma questa volta, forse, la pandemia vera, indotta o esagerata che sia, non avrà come scopo la diffusione sul mercato di un vaccino o di un farmaco anti mutanti. Forse non servirà ad arricchire l’ennesimo colosso farmaceutico: gli esperti hanno bollato come inutile o addirittura nocivo l’utilizzo di antibiotici.

Ecco, il mio dubbio riguarda proprio il business che può nascondersi dietro la notizia dell’ennesima pandemia. Perché reale o bufala che sia c’è sempre un business per qualcuno – perlopiù i soliti - dietro le campagne di terrorismo psicologico a cui siamo sottoposti. Soprattutto quando mezzo mondo si sente emotivamente in ginocchio e teme l’attacco dell’agente invisibile che perde fin da subito il suo nome per divenire tra la gente comune soltanto: il batterio killer.
Chiamatela paranoia. Ma preferisco essere diffidente prima e pensare alle ipotetiche dinamiche che si potrebbero celare dietro l’allarme che rimanere triturata nell’ingranaggio delle multinazionali che dettano l’agenda ai Governi e Media.
Ora, la Russia ha già bloccato l’import degli ortaggi. Frutta e verdura sono finite sul banco degli imputati. Avverrà ovviamente un crollo delle vendite. Continueremo a comprare frutta e ortaggi ma con maggiore diffidenza.
Che il terrorismo psicologico questa volta serva a incrinare la fiducia che poniamo negli alimenti “biologici”?

Insolita domanda.
Non fosse che negli USA le sementi sono già state equiparate e classificate nella categoria degli alimenti e una proposta di legge – democratica! – ha proposta di mettere al bando tutti gli alimenti – e dunque anche le sementi! – biologici perché giudicati pericolosi da un punto di vista igienico.
Perché vi chiederete?

Che cosa mangeremo?

Alimenti OGM ovviamente. Più sani e sicuri per alcuni eminenti scienziati che non sono però in grado di addurre prove scientifiche sugli effetti che gli OGM hanno sull’uomo alla lunga. Certo, non esistono esperimenti in tal senso, né garanzie che non siano dannosi o addirittura letali come sostiene invece una fitta documentazione scientifica “contro”.
In Italia abbiamo addirittura il guru dell’oncologia che ci sbandiera la panacea degli OGM, Umberto Veronesi. Se li mangi lui gli alimenti geneticamente modificati, tanto alla sua età non contano gli effetti futuri.
Qualora la norma dovesse essere approvata, domani o in un futuro vicino o lontano che sia, i coltivatori non potranno più far ricorso alle sementi biologiche ma utilizzare soltanto quelle OGM “comprandole” dalle multinazionali come la Monsanto. Un business da miliardi di dollari.
Se anche in Europa, dove la diffidenza nei confronti degli OGM è più radicata, si dovesse diffondere il sospetto nei confronti dei cibi biologici, l’introduzione degli OGM potrebbe avvenire più velocemente. Spesso per le rivoluzioni, anche quelle agricole, un “input” per far scaturire gli eventi.
E l’ennesima pandemia che sembra colpire in particolare frutta e verdura potrebbe essere uno di questi eventi.
Ma chi lo dice a tutte le First Lady emule di Michelle Obama, che non potranno più coltivare l’orto biologico in giardino?