lunedì 30 maggio 2011

A OBAMA PIACE IL GRANDE FRATELLO

di Enrica Perucchietti

Credo sia uno strumento importante per noi”.
Parola del Presidente americano Barack Obama, che per l'ennesima volta dimostra di promettere una cosa e di fare l'esatto opposto. Senza doversi giustificare né tantomeno spiegare nel dettaglio le sue improvvise virate, che farebbero invidia a Paul Cayard.
Mentre gli occhi del mondo erano puntati su Deauville, sulla generosità dell'Occidente per finanziare le “democrazie” nascenti dalla primavera araba o sulle gaffes nostrane di Berlusconi, il presidente americano ha dato il via libera in sordina alla conferma del famigerato Patriot Act, estendendo il pacchetto di limitazioni alla privacy per altri 4 anni. Fino al 2015. In attesa che anche l'Obamacare, la riforma sanitaria voluta dal presidente democratico, introduca “finalmente” i microchip sottocutanei come metodo di controllo della popolazione. Per il 2015 saremo forse più vicini al sistema politico immaginato da George Orwell in 1984 e da Aldous Huxley in Il Mondo Nuovo: sorvegliati, manipolati, sotto l'occhio costante dei satelliti del Governo che già ora “vigila” mail o telefonate di pubblici cittadini senza neppure l'esigenza che siano sospettati di terrorismo.
Non potendo firmare di persona la legge, Obama ha permesso che la Casa Bianca utilizzasse una “autopen”, una penna automatica che replica la sua firma. Se il rinnovo non fosse arrivato entro la mezzanotte del 27 maggio la legge sarebbe infatti decaduta. E il nostro premio Nobel alla Pace [sic.] non poteva certo permetterlo. Come avrebbe potuto dare vita a una distopia di sapore orwelliano senza le ampie misure di sorveglianza elettronica per combattere il terrorismo ma soprattutto vigilare sulla privacy dei normali cittadini?
Dopo la notizia della “morte” di Osama Bin Laden il Pentagono ha avviato un ulteriore giro di vite nel campo della Difesa investendo altri milioni di dollari per l'anti terrorismo: che pare sempre di più agire contro il popolo americano.
Il Patriot Act, sentito dalla maggioranza della popolazione all'indomani dell'11 Settembre, era poi divenuto intollerabile quando ci si era resi conto delle assurde limitazioni e degli abusi che esso comportava.
E proprio il Messia multietnico che aveva incantato le platee di mezzo mondo aveva promesso in campagna elettorale che avrebbe eliminato quelle fastidiose misure di sorveglianza. Così come aveva promesso in 16 mesi il rientro delle truppe dall'Iraq o la chiusura di Guantanamo, una green revolution, o misure anti crisi per sostenere i contribuenti – mentre ha optato per il salvataggio delle Grandi Banche che ne avevano finanziato la campagna elettorale e la scalata alla Casa Bianca.
Coincidenze?
O scarsa memoria delle promesse per ora disattese punto per punto?
A sostenere ancora il nostro Presidente afroamericano, la notizia della morte di Bin Laden che gli ha permesso di risalire nel consenso di ben 11 punti percentuali in sole due settimane. Prima della cattura – e della scomparsa del corpo – del califfo del Terrore, Obama navigava in cattive acque. Il suo consenso era in caduta libera e addirittura un personaggio stravagante come Donald Trump era riuscito a metterlo in difficoltà costringendolo a pubblicare on line il certificato di nascita...

Anche in seno al Grande Fratello si annidano i rivoltosi. Ciò serva da lezione ad Obama: “tirare” troppo la corda in “democrazia” non è come cazzare una vela... è una cazzata e basta.

giovedì 26 maggio 2011

E SILVIO PIANSE SULLA SPALLA DI OBAMA

di Enrica Perucchietti

L’ha puntato da lontano come una faina. Lo si può notare dalle immagini video. Poi ha dato indicazioni a un fotografo italiano per immortalare il suo colloquio con Obama. Evidentemente senza pensare all’ennesima figuraccia a cui stava andando incontro. Eh sì che il nostro Silvio è un vero e proprio kamikaze. Non le aveva sparate abbastanza grosse nei giorni scorsi – arrivando a compromettere la rielezione della Moratti a sindaco di Milano. Quella spina nel fianco che lo tormenta da anni, quella magistratura di sinistra che vuole la sua testa non gli dà pace. Lo fa sragionare. Chissà che cosa ha pensato quando ha fermato il Presidente americano battendogli sulla spalla per confessargli che in Italia “abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra”.
L’espressione di Obama non rende la reazione perché immortalato di tre quarti: scuote impercettibilmente la testa mentre ascolta la traduttrice riportargli in inglese le poche parole di Berlusconi.
Quella di Angela Merkel – che si gira verso Sarkozy come per chiedergli che cosa sia preso a Berlusconi che sta tra l’altro ritardando l’inizio dei lavori del G8 – anticipa il polverone che ovviamente il premier italiano si è alzato contro in patria
Dalle immagini e dall'audio che riprendono il colloquio dei due leader si comprende nettamente che il premier si è lamentato della situazione della magistratura in Italia, illustrando le misure di prevenzione adottate dalla maggioranza: "Noi abbiamo presentato una riforma della giustizia che per noi è fondamentale, in Italia abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra".
Che cosa avrà mai pensato l’uomo più potente del mondo davanti allo sfogo di Berlusconi? Nessuna reazione sfiora il Presidente americano, né una smorfia, né una parola, neppure un accenno di sorriso. Rimane glaciale come solo Obama sa essere quando è disturbato da un elemento esterno, quale può essere appunto il “collega” italiano. Alla mosca che schiacciò in mondo visione riservò almeno un sorriso di compiacimento.
Che cosa si aspettasse Berlusconi è ancora più oscuro. Lamentarsi della famigerata magistratura di sinistra con un leader democratico non è così paradossale quanto saperlo il nostro Presidente del Consiglio.
A rincuorarci il pensiero che Obama stia prendendo in considerazione l’idea di esportare la democrazia anche nel nostro Paese. Non per debellare il cancro della magistratura, ma per mettere fine alle brutte figure a cui il premier ci ha da tempo abituati.

SERBIA: ARRESTATO MLADIC, IL DNA LO CONFERMA

di Enrica Perucchietti

Brutto periodo per i super ricercati.
Dopo l’annuncio dell’uccisione di Osama bin Laden e la diffusione della notizia – non confermata – della morte del Mullah Omar, ora tocca al ricercato numero uno in Europa.
Il DNA ha infatti confermato l’identità dell’uomo arrestato dalla polizia serba: è Ratko Mladic, ex generale serbo bosniaco accusato del genocidio di 8350 civili musulmani a Srebenica nel luglio 1995.
Secondo l’emittente televisiva B92, l’arresto di Mladic - la cui identità è stata confermata dal presidente serbo, Boris Tadic - è avvenuto nel corso di un’operazione speciale delle forze di polizia, andata in scena a meno di 100 chilometri da Belgrado.
Mladic, che oggi ha 69 anni, è uno dei due ultimi criminali di guerra serbi ancora latitanti e ricercati dal tribunale penale internazionale dell’Aja per genocidio; l’altro ricercato è Goran Hadzic, ex capo politico dei serbi di Croazia.
Dopo Bin Laden, Mladic era il ricercato più interessante al mondo, sicuramente il numero uno in Europa che ora può finalmente accogliere nell’UE anche la Serbia. Già, perché “casualmente” l’arresto di Mladic arriva proprio all’indomani della pubblicazione delle indiscrezioni del Tribunale Penale Internazionale secondo cui alcune componenti dell’Unione Europea avevano richiesto la consegna dell’ex generale per poter accettare la nomina della Serbia tra gli Stato membri. Il procuratore Serge Brammertz aveva infatti definito “non sufficienti” gli sforzi del Paese per la cattura di Mladic e di Hadzic.
Che Belgrado abbia “sacrificato” l’ex generale per Ragion di Stato?
Sicuramente il ricatto della UE ha incentivato la polizia serba che “miracolosamente” è riuscita ad arrestare il criminale nel giro di 24 ore dal dispaccio.
Quando si dice, un incentivo “sufficiente”.

LA PRIMAVERA DELLA "DEMOCRAZIA"



di Enrica Perucchietti

Il paragone con la coppia d’acciaio Bush-Blair era scontata. E per nulla rassicurante. L’incontro tra Barack Obama e David Cameron – suggellato da una partita a ping pong - ha riproposto il sodalizio angloamericano che trova il premier inglese e il presidente americano – nonostante l’apparente differenza di schieramenti politici, il primo conservatore, il secondo democratico – concordi sulle linee da seguire in politica estera.
Come se Obama non avesse insistito abbastanza nelle scorse settimane sull’importanza della “presunta” (passatemi il termine) uccisione di Osama Bin Laden, senza neppur dover evocare il giallo della morte del Mullah Omar o l’arresto di quello che dovrebbe essere l’ex generale serbo bosniaco ricercato per genocidio, Ratko Mladic, Cameron ha ribadito che “ora possiamo sconfiggere Al Qaeda”. Peccato che la notizia della morte di Bin Laden – che non era comunque il capo di Al Qaeda da tempo - abbia portato non solo a una nuova spirale di attentati ma anche a un incremento dei fondi stanziati per la sicurezza nazionale americana. Altroché dormire sonni tranquilli. La notizia dell’eliminazione fisica di Osama avrà come conseguenza il mantenimento in vita delle cellule jihadiste. Un pretesto per continuare il giro di vite in tema di Sicurezza…
Sul fronte Afghanistan Cameron ha invece dichiarato sibillino, “sarà un anno cruciale”, senza poter spiegare in che senso. Prima di confrontarsi sulla primavera araba e sul conflitto in Libia, il premier inglese ha evocato l’11 settembre e l’impegno nel debellare il terrorismo. Peccato che la lotta che portò Bush a dichiarare guerra all’Afghanistan nell’autunno del 2001 – unico motivo la mancata consegna del regime talebano di Osama bin Laden – ha trascinato gli USA nella più lunga guerra dell’era contemporanea, battendo addirittura la durata di quella del Vietnam – 103 mesi “soltanto”. Una politica completamente sbagliata, il mancato rispetto della cultura e delle tradizioni afghane, il combattimento con i droni, il bombardamento di civili e il conseguente ricompattamento del fronte talebano che ha conquistato il favore della popolazione – soprattutto rurale - stremata da dieci anni di inutili conflitti e violenti incursioni anche contro obiettivi civili, ci viene offerta come una strategia vincente, quando dietro i proclami di peace keeping si nasconde una guerra all’Afghanistan – non in Afghanistan - per il controllo delle risorse e del territorio, che hanno dato vita al fenomeno, prima sconosciuto in quel Paese, del terrorismo. Mai il popolo afghano – neppure nella guerra contro i sovietici - aveva fatto ricorso agli attentati kamikaze che, una volta adottati sono stati per lo più indirizzati contro obiettivi militari, distinguendosi così dalla metodologia di Al Qaeda. Gli scandali che si sono susseguiti in questi anni – come la corruzione dei capi talebani da parte dei militari italiani per non essere “colpiti”, o l’infiltramento di talebani all’interno delle milizie afghane, o ancora la connivenza della polizia afghana con il “nemico da combattere” – ha rivelato con chiarezza il vero volto di una guerra inutile, disastrosa, sanguinaria.
All’incontro londinese si è parlato anche del programma di appoggio alla primavera araba promosso al G8 che si è aperto oggi a Deauville. Ma a monopolizzare l’attenzione mediatica è stato il discorso di Obama a Westminster Hall, nel quale il Presidente ha sottolineato il primato americano nel “guidare il mondo”. Il parallelo è corso subito al repubblicano Reagan – nei cui confronti Obama si è più volte espresso con parola di elogio - che nel giugno dell’82 aveva rilanciato il primato americano contro l’URSS promettendo che la marcia “della libertà e della democrazia avrebbe portato il marxismo e il leninismo nella pattumiera della storia”. Di lì a poco sarebbe stata coniata la definizione di URSS come “impero del male”.
Oggi, a quasi trent’anni di distanza, come profeticamente indicato da Giulietto Chiesa e seppur in modo diverso da Webster Tarpley, l’asse del “male” si concentra in Medio Oriente dove la primavera araba e i conflitti in Libia, Iraq, Afghanistan e le incursioni in Pakistan mirano a sottomettere politicamente l’area in modo da battere sul tempo la Cina sul fronte energetico e isolarla dal resto del mondo con basi militare americane costruite ad hoc nei punti nevralgici.
Compito di Obama negare il declino dell’Occidente che sembrerebbe punta a instaurare un fronte globale contro l’asse cino-sovietico. Per sventare il pericolo di un declino della leadership americana, Obama ha dichiarato che il declino dell’America e dell’Europa nel mondo “è una tesi sbagliata” e che l’Occidente resterà “il maggior catalizzatore dell’azione globale nel mondo grazie a una forza di intenti comuni – valori li chiama – “volti a difendere i diritti non solo degli Stati Uniti” ma di tutta la Terra.
È la dottrina dell’eccezionalismo americano secondo la quale, come ha fatto notare Noam Chomsky, “aggressione e terrore sono quasi sempre rappresentati come autodifesa e devozioni a visioni ispirate”. In questo senso vengono giustificate le azioni aggressive contro Iraq, Afghanistan, Pakistan e ora la Libia, sostenute da campagne di disinformazione dei Media mirate per manipolare il consenso pubblico.
Ormai gli equilibri della geopolitica angloamericana sono chiari: nel prossimo futuro sarà la Siria a subire le conseguenze dell’importazione del liberalismo americano. Le sanzioni contro Assad segnano solo il primo passo verso l’attacco di Damasco. Mentre non è prevista nessuna misura restrittiva, ad esempio, nei confronti del monarca del Baharain, Hamad al Khalifa, che pure ha represso nel sangue il movimento per le riforme e la democrazia di Piazza della Perla. Forse però la lunga mano della CIA non è arrivata fino al Bahrain che rimane un buon alleato per gli USA. L’ipocrisia degli equilibri geopolitici a volte causano dei black out nel piano dell’“esportazione della democrazia”: in questo caso la Ragion di Stato impone ai governanti di fingere di non vedere. Un po’ come nel caso delle violenze in Myanmar o in Tibet condannate ma lasciate a se stesse. Ovvio, non ci si può opporre alla Cina.
La ragione che muove le più sublimi intenzioni degli Stati Uniti è infatti “lo zelo nel portare agli altri i valori che definiscono l’identità nazionale americana” per dirla come Chomsky. È per seguire questi alti ideali che, come ha ricostruito lo storico David Schmitz, “lungo quasi tutto il ventesimo secolo, gli Stati Uniti hanno sostenuto dittature di estrema destra, in violazione degli ideali politici americani” e del loro impegno a “promuovere la democrazia e i diritti umani”.
Peccato che i diritti umani da salvaguardare vengano scelti con accuratezza dai governi americani in base ai propri interessi che non si identificano con gli interessi della nazione ma, semmai, agli “interessi delle concentrazioni di potere che dominano la società”.
Le lobbies insomma.

mercoledì 25 maggio 2011

UFO: DALL'OMBRA DI STALIN SU ROSWELL AI RICCI IN AMORE



di Enrica Perucchietti

Dopo 60 anni e oltre di cover up e disinformazione governativa “sbarca” in libreria una pubblicazione che dovrebbe mettere la parola fine sul più celebre UFO crash della storia contemporanea: Roswell. La giornalista americana Annie Jacobsen, nipote intellettuale del nostro CICAP – ci dona nel libro Area 51 la rivelazione del secolo che tutti gli appassionati di ufologia attendevano con ansia. Abbandonata la strada del pallone sonda con cui il Pentagono ha cercato di mettere inutilmente una toppa alla fuga di notizie dell’incidente del 1947, la Jacobsen – che si occupa di sicurezza nazionale - rispolvera la vecchia ipotesi di apparecchi sovietici utilizzati a fini militari per spaventare la popolazione americana durante la Guerra Fredda. In sintesi: nell’estate del 1947 sarebbe davvero caduta una specie di disco volante telecomandato a distanza – come gli attuali droni - e dai rottami sarebbero stati recuperati i cadaveri di piccoli umanoidi. Però l’incidente avrebbe a che fare con l’URSS e non con gli alieni. Stalin avrebbe fatto sviluppare ai suoi scienziati i progetti dei fratelli Horten, i due piloti e inventori nazisti che durante la seconda guerra mondiale avevano realizzato un prototipo di caccia tutto-ala molto simile a un disco volante. Il prototipo è dato storico accertato, esistono i progetti, le fotografie, addirittura i filmati. Il resto non è attestato né verificabile. Anche in questo caso dovremmo fare un atto di fede e credere sulla parola ai testimoni che la Jacobsen ci propina.
Una novità rispetto al passato però c’è: con questa nuova tesi si ammette l’esistenza di corpi ritrovati nel campo di Roswell il 3 luglio 1947, da sempre negata dal Pentagono. Ma quei corpicini non sarebbero appartenuti a entità extraterrestri bensì a bambini tredicenni deformi e truccanti appositamente per somigliare a creature aliene. A svelare alla giornalista segreti militari legati all’Area 51 e a Roswell sarebbe stato un suo parente acquisito, il fisico Edward Lovick, oggi novantenne che le avrebbe fornito i nomi di alcuni anziani superstiti dell’Area 51.
A proposito delle autopsie effettuate sui cadaveri recuperati dall’aeronautica, il Colonnello Philip Corso – che pure ammetteva l’esistenza di prototipi di dischi volanti sovietici di origine tedesca - scrisse nei suoi diari, “le fotografie nei miei archivi mostravano un essere alto circa un metro. Il corpo sembrava decomposto. Le foto per me non erano molto utili, ma lo erano i rapporti medici: gli organi, la struttura ossea e l’epidermide erano diversi. Il cuore era più grande, maggiore l’estensione polmonare, diverse le sezioni muscolari. Le ossa erano veramente singolari. Le composizioni della pelle estremamente interessante. Sembrava che gli atomi fossero allineati per proteggere gli organi vitali dalle radiazioni cosmiche o dall’attrazione gravitazionale. Non ci si dilungava sul cervello, molto grande rispetto alle dimensioni del corpo. Molte le sorprese biologiche: numerose caratteristiche morfologiche divergevano da quelle umane, eppure la struttura complessiva non se ne discostava troppo”. In che modo la descrizione di queste EBE sarebbe compatibile con dei tredicenni seppur deformi ma pur sempre umani? Evidentemente, nessuna.
Unico precedente altrettanto strampalato nella storia della disinformazione – che personalmente continua a meritarsi il primo posto nelle bufale romanzate – è la spiegazione che a formare i Crop Circle nei campi inglesi sarebbero i ricci in amore che durante le loro evoluzioni “sessuali” darebbero origine ai complicati disegni tra le spighe di grano. Già, ricci.
Dopo i porcospini esperti di cabala e di complesse teorie matematiche da far invidia a John Nash, ora i discepoli di tutti i Piero Angela del pianeta possono leggere il libro della Jacobsen e tornare a dormire sonni tranquilli: non esiste vita al di fuori della Terra – che si mormora forse è davvero piatta – e quegli strani aggeggi che ogni tanto solcano i nostri cieli sono prototipi americani, cinesi o russi. Messi in soffitta palloni sonda e satelliti – tanto evocati negli anni ’50 e ’60 - la spiegazione dei finti UFO può risolvere non pochi problemi: siano essi di tipo classico, a sigaro, triangolare, metallico o colorato. Forse ogni nazione ha il suo velivolo che li contraddistingue, una specie di marchio di fabbrica e i Paesi più poveri si limiterebbero a semplici Orbs poco complesse dal punto di vista ingegneristico…
Va bene non bersi le testimonianze dei contattisti di strada o prendere per vere le innumerevoli bufale che corrono sul web, ma da passare per sprovveduti all’essere imbecilli ce ne passa. Tra gli opposti troviamo le teorie di C. G. Jung o del guenoniano Jean Robin, che con l’ufologia in senso stretto non hanno nulla da spartire. Ma almeno hanno avuto l’accortezza di considerare con rispetto le casistiche e i testimoni per poi teorizzare il loro sistema di pensiero. Poi abbiamo un John Keel o uno Jacques Vallee vicini alle posizioni parafisiche accreditate dalle teorie della quantistica contemporanea. Macché! Il debunking americano ama trattarci come ingenui e propinarci teorie al limite del ridicolo. Magari nella prossima fatica editoriale la Jacobsen ci spiegherà che nei quadri dal Tardo Medioevo al Rinascimento – come “La Madonna con Gesù e san Giovannino” della Scuola del Lippi, “L’annunciazione” di Paolo Criveli, “La leggenda della vera Croce” di Piero della Francesca o “Il miracolo della neve” di Masolino da Panicate – troviamo immortalato un prototipo elaborato da Leonardo da Vinci! Le nubi che tanto piacciono ai critici dell’arte per giustificare quei velivolo fuori posto e fuori tempo finirebbero così a guadagnarsi credito “scientifico” a livello dei palloni sonda.
Per stare al passo con l’era della tecnologia trionfante un po’ di sano revisionismo storico porta la Jacobsen ad attribuire un salto qualitativo ai sovietici che all’inizio della Guerra Fredda sarebbero già stati in grado di lanciare nei nostri cieli finti UFO con equipaggio a bordo. Non è chiaro se il crash del New Mexico fosse compreso nel diabolico piano di Stalin: altrimenti perché inserire ragazzini macrocefali e truccati a mo’ di alieni grigi? Per le foto ricordo? Una volta rinvenuti i corpi e studiati il segreto sarebbe stato svelato in fretta e la copertura per la guerra psicologica crollata miseramente insieme ai milioni investiti per la costruzione del velivolo “terrorista”.
Che ci siano i testimoni militari conta quanto il due di picche. Gli ufologi dalla loro ne hanno a decine insieme ad ex ingegneri, consulenti, astronauti. Perché credere ai primi e non agli altri? Perché non credere che siano costoro agenti della disinformazione? Dopo averci ripetuto fino alla nausea che si trattava di un pallone sonda, dopo aver screditato testimoni e deriso ricercatori, perché mai dovremmo dare retta a questi ex militari? Dovremmo dunque archiviare le testimonianze di Jesse Marcel Junior o di Philip Corso e riconsiderare l’origine della retroingegneria? Ciò ci porterebbe a ipotizzare che le ricadute tecnologiche dalla fibra ottica ai microchip sostenute da Corso siano in realtà prototipi sovietici? E che cosa pensare, allora, del frammento di metallo “sottile come carta” e del pezzo di “tessuto resistente ai Raggi X” che provenivano, secondo il racconto di Corso, dai rottami dell’UFO? “Li estrassi da un fascicolo cui ebbi accesso tredici anni dopo – racconta il Colonnello in L’alba di una Nuova Era – La documentazione allegata sottolineava come, trattandosi di una massa densa, apparisse un allineamento atomico-molecolare impenetrabile ai raggi X e alle radiazioni cosmiche”. Merito della tecnologia sovietica? O dobbiamo credere che Corso fosse in malafede?
Ma se i sovietici erano così all’avanguardia con i loro studi già nel 1947, perché non hanno battuto gli americani nella corsa allo spazio bruciandoli sul tempo? Perché ad andare sulla Luna non sono stati per prima i sovietici – che erano più avanti nelle ricerche degli americani e avrebbero avuto vent’anni di tempo per affinare i prototipi?
Così Corso aveva motivato la decisione di rendere pubblico parte dei segreti di cui era a conoscenza in merito all’incidente di Roswell e alla retroingegneria: “L’accordo tra noi militari era di non parlare sino a che la coscienza non ci avesse imposto di farlo. Il momento per me è arrivato quando è morto il mio superiore, il generale Arthur Trudeau. Ma c’è ancora molto da dire e soprattutto da fare per il bene delle nuove generazioni”.
Dopo che avremo perso nuove energie a controbattere alle tesi avanzate dalla Jacobsen, a chi toccherà infrangere i segreti della politica staliniana?
Fortunati i ricci che si tengono impegnati con i Cerchi nel Grano.

martedì 24 maggio 2011

IL GIALLO DEL MULLAH OMAR




L’ultima immagine che avevamo di lui era mentre fuggiva in sella a una motocicletta nel dicembre del 2001, come nell’inizio del film Lawrence d’Arabia. Complice l’assenza di fotografie – se ne contano tre forse quattro di origine dubbia, a parte quella dove compare già trentenne senza l’occhio - negli ultimi dieci anni la voce della sua morte si è rincorsa più volte. Sempre smentita perché mai confermata dalla Casa Bianca. Colui che ha vissuto all’opposto di Osama Bin Laden, in modo riservato, modesto, singolare, avventuroso, al punto da essere definito dagli americani “più che un uomo un enigma, un mistero”, sarebbe stato ucciso in Pakistan, durante il suo trasferimento da Quetta, in Pakistan, al Waziristan del Nord, al confine con l’Afghanistan. Lo ha reso noto l’emittente afghana Tolo News citando fonti anonime di sicurezza di Kabul. Un bel colpo per Barack Obama che, in caso di conferma della morte del Mullah Omar, in sole tre settimane avrebbe eliminato fisicamente i due nemici principali degli USA e dell’Occidente, blindando virtualmente il suo posto alla Casa Bianca per le prossime elezioni presidenziali. Ma anche in questo caso la notizia della morte del Mullah Omar porta con sé dubbi e contraddizioni e, come nel caso dell’esecuzione di Bin Laden, la mancanza del corpo che possa testimoniarne il decesso.
Chi lo ha conosciuto lo descrive come un gigante, alto 1,98 metri, di poche parole, quasi timido, umile. Dotato di un’eccezionale senso dell’ironia. Gentile, paziente, portato ad ascoltare più che parlare, capace di efferate violenze nel nome della sharia e dell’onore, come di perdonare i nemici. Un personaggio tra mito e realtà. A partire dal suo aspetto: “come i corsari di un tempo, porta abitualmente una benda nera sull’occhio destro” - racconta Massimo Fini - che perse a 27 anni in una battaglia combattuta contro i sovietici ai confini col Pakistan. Si narra che colpito dalle schegge di una mina in pieno volto, si sia strappato l’occhio e ricucito le palpebre. Solo l’indomani sarebbe stato trasportato in un ospedale della Croce Rossa in Pakistan.
Alla testa del Talebani, con lo scopo iniziale di riportare la pace in Afghanistan sconfiggendo i corrotti “signori della guerra”, disarmare la popolazione, imporre la sharia e preservare l’integrità e il carattere islamico del Paese, il Mullah Omar ripulisce l’Afghanistan dai predoni e dalla corruzione, riportando un duro ordine e una dura legge. I Talebani entrano a Kabul il 26 settembre 1996 e non la lasceranno fino all’intervento americano di cinque anni dopo. Da qui impongono un’interpretazione rigida e letterale della legge coranica, senza distinzione tra campagna e città: sono proprio i grandi siti urbani a soffrire di più il regime talebano, mentre nei sobborghi rurali il consenso del Mullah Omar è alle stelle. Conquistata Kabul, Omar non entra nel governo ma si ritaglia un ruolo di guida ideologica: più che un capo religioso egli è un leader politico e militare.
L’Occidente non può comprendere quest’uomo, così diverso, così “alieno” dalla cultura “democratica” che ci ostiniamo a importare a costo di violenze, soprusi, morti, in nome di una superiorità che ci siamo attribuiti a priori. Gli USA, in particolare, si sono arrogati il primato internazionale di tutori della democrazia, dei valori politici ed economici universali di libertà, eguaglianza, proprietà privata e mercato. In quanto ago della bilancia a livello mondiale, sulla base di un astratto primato politico, l’eccezionalismo americano spinge USA e alleati europei a esportare il modello del liberalismo ovunque ce ne sia il bisogno e a costo di qualche eccesso. Peccato che troppo spesso i diritti da salvaguardare vengano scelti sulla base degli interessi delle lobbies che dominano la società. In questo senso anche l’assimilazione del Mullah a terrorista e l’equiparazione con Osama bin Laden sono dei falsi storici utili alla causa dell’“esportazione della democrazia” in territorio afghano. Omar detesta Osama, lo definisce “un piccolo uomo”, i rapporti tra i due sono unicamente di reciproca utilità. Non potrebbero essere più diversi: il Califfo saudita, su cui aleggia l’ombra della CIA, è un esibizionista, un terrorista, e un internazionalista islamico, mentre il Mullah Omar è l’opposto: gli interessa solo il suo Paese, dai cui confini non è mai uscito, fino alla fuga nel sud del Pakistan dopo l’invasione americana. È nato in una famiglia poverissima, non è anti americano né un anti occidentale, è invece un anti modernista con il sogno di un “Medioevo sostenibile”: “nell’era della Modernità trionfante, avanzante e conquistante osava proporre l’Antimodernità, una società del tutto diversa, pauperista, in antitesi concettualmente radicale al modello di sviluppo moderno”, spiega Fini nel suo Il Mullah Omar. Omar detesta inoltre apparire quasi quanto la corruzione, è un uomo di parola, se promette una cosa la fa. È adorato dai suoi uomini per il suo valore, per l’attaccamento sincero alla legge coranica, per il rispetto che concede all’altrui persona. Sarà proprio l’attaccamento al valore dell’ospitalità la causa “formale” dell’invasione americana: l’aver rifiutato di consegnare Osama Bin Laden in quanto “ospite” sul territorio afghano. L’ospite per i talebani è sacro, e per quanto non apprezzino Osama, non possono consegnarlo al Governo USA senza le prove che sia effettivamente l’autore degli attentati del 1998 e poi dell’11 settembre. Ma la mancata consegna del ricercato numero uno è solo la causa “ufficiale” a cui da corollario si aggiunge la denuncia del mancato rispetto dei diritti umani. Come sei i “padroni della guerra” scacciati dal Mullah non fossero stati dei criminali corrotti ben peggiori dei talebani. Ma l’ONU e l’Occidente si rifiutano di riconoscere il governo talebano, nonostante un primo avvicinamento dell’amministrazione Clinton al regime. Agli USA fa comodo, infatti, trattare con il Mullah: hanno bisogno di costruire il Gasdotto e sono sicuri che Omar non avrà il coraggio di rifiutare l’appalto alla UNOCAL, la multinazionale nel cui consiglio di amministrazione troviamo Donald Rumsfeld, Condoleeza Rice, la famiglia Bush e persino Hamid Karzai, futuro presidente afghano. Il coinvolgimento di funzionari governativi nella UNOCAL insospettisce invece il Mullah che preferisce trattare con l’argentina BRIDAS, diretta dall’italiano Carlo Bulgheroni. I rapporti con gli americani si incrinano proprio nel 1997 quando dopo aver a lungo tergiversato, Omar decide di affidare la costruzione del Gasdotto alla BRIDAS. Per gli americani è davvero un brutto colpo. Non se lo aspettano. Per non far perdere la commessa all’UNOCAL si riducono a corteggiare il nemico di sempre, l’Iran, al quale propongono un progetto alternativo: il passaggio del Gasdotto attraverso il territorio iraniano per arrivare alla Turchia senza dover passare dall’Afghanistan. È in questo periodo che gli USA si affidano alla lunga mano dei Media per screditare il regime talebano e alzare il velo sui soprusi nel Paese, che fino a quel momento avevano invece tollerato. Ma si sa, la logica dei soldi può far cambiare alleanze e posizioni. Da questo momento inizia una vera e propria campagna di dichiarazioni dei Media occidentali – che fino a quel momento non si erano occupati del Paese - che deplorano la condizione delle donne e dei diritti umani negati in Afghanistan.
Se Omar avesse fatto la scelta giusta, forse, citando il Presidente Franklin Delano Roosevelt, sarebbe rimasto un figlio di puttana, ma il nostro figlio di puttana! Ma Omar non è un Anastasio Somoza, né un burattino qualsiasi nelle mani degli americani: egli ha a cuore solo il bene del suo Paese. Per questo arriva a trattare con il Presidente Clinton per la consegna di Bin Laden, proposta che inaspettatamente viene rifiutata dalla Casa Bianca. Al contempo propone di eliminare la coltivazione del papavero e il traffico di oppio in cambio del riconoscimento del Governo talebano. L’Occidente, ancora una volta, rifiuta. Omar abbraccerà comunque l’eliminazione della coltivazione del papavero, facendo crollare quasi a zero la produzione di oppio. Ennesimo schiaffo all’Occidente che sul traffico di stupefacenti macina un business a sette zeri. Un’incredibile scortesia alle agenzia di Stampa che stavano facendo un bel lavoro nel dipingere i Talebani come “bestie”. Un provvedimento comodamente dimenticato dai Media occidentali che sotto le pressioni internazionali dipingono il regime talebano in modo univoco, senza quel rispetto che una cultura diversa dovrebbe richiedere. Il diverso che non scende a patti con le lobbies va annientato. Cancellato. Ecco che per spazzare via il nuovo nemico va costruita un’ingente macchina del consenso che faccia presa sulle paure collettive e che dipinga il diverso come un mostro da combattere. Il Mullah Omar viene così equiparato e confuso con Bin Laden, senza neppure badare al messaggio di cordoglio che il Mullah fece trasmettere al Governo USA all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle: “Noi condanniamo formalmente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center e al Pentagono. Condividiamo il dolore che tutti coloro che hanno perso i loro famigliari e i loro cari in questi incidenti. Tutti i responsabili devono essere assicurati alla giustizia. Noi vogliamo che siano puniti e ci auguriamo che l’America sia paziente e prudente nelle sue azioni”. Ma come ben sappiamo quella prudenza sperata non contraddistingue il Pentagono che, avendo già pronti i piani per l’invasione dell’Afghanistan, attacca Kabul nell’ottobre del 2001.
Il resto è storia.
Omar si dà alla macchia e diventa irraggiungibile. Si dimostra più furbo dei servizi segreti pachistani, delle forze di terra americane, dei contingenti di Karzai. Diventa in poco tempo un fantasma, ben lontano dall’esibizionismo del fondatore di Al Qaeda che risponde ai bombardamenti di Tora Bora raccogliendo proseliti per lo jihad tramite video messaggi. La taglia che pende sulla sua testa di 25 milioni di dollari non spinge nessun talebano a consegnarlo alle forze nemiche. Nessuna cifra potrebbe giustificare un tradimento per una cultura che, seppur basata sulla violenza e su una rigida osservanza della legge, dimostra di aver anch’essa qualcosa da insegnare all’Occidente: l’onore e la fedeltà non si comprano con il denaro.

lunedì 23 maggio 2011

PSICOFARMACI: CONDANNATA LA ELI LILLY

La multinazionale ELI LILLY condannata a pagare 1 miliardo e 42 milioni di dollari per aver commercializzato un farmaco per bambini che induceva i pazienti al suicidio

giovedì 12 maggio 2011

LE VERITA' NON DETTE SULLA "MORTE" DI OSAMA BIN LADEN

di Enrica Perucchietti

Osama bin Laden è morto, conferma Al Qaeda, annunciando vendetta. Contro gli USA, contro il Pakistan, contro l’Occidente.
Job well done, risponde a distanza Obama congratulandosi con i Navy Seals. Bel lavoro.
Mentre la gente torna a riversarsi nelle strade intonando YES WE CAN!
La morte dello sceicco del terrore ha riportato la speranza.
Peccato che sia la nona volta dal 2001 che un Capo di Stato o un alto funzionario governativo ne annunci la morte.



La morte del… giornalismo
Che cosa sappiamo veramente dell’uccisione di Osama?
La notizia è stata diffusa in modo lapidario insieme a una vecchia foto ritoccata che ritraeva la salma sfigurata del terrorista.
Nel giro di poche ore si sono avvicendate versioni contrastanti dell’accaduto. Si è detto tutto e il contrario di tutto. Senza smentite ufficiali. Si è lasciato che il mondo divorasse i dettagli più fantasiosi di un’operazione dei Navy Seals lasciando che il verosimile venisse travolto e fagocitato da un mucchio di fandonie. E ci sono cascati tutti in un modo o nell’altro, conficcando ciascuno il proprio chiodo nella bara del giornalismo. Il verosimile che una volta si cercava di far ingerire a forza alla popolazione è stato sostituito con l’inverosimile – come ha ben fatto notare Giulietto Chiesa – dando adito a ricostruzioni variopinte. Dimostrando il carattere virtuale dell’intero sistema mediatico.
In realtà, come ha scritto Robert Fisk, il corrispondente del quotidiano britannico The Independent in Medio Oriente, «è che ci siamo persi da molto tempo nel cimitero degli imperi e abbiamo trasformato la caccia a un ormai irrilevante inventore del jihad globale in una guerra contro decine di miliardi di taliban, ai quali interessa poco Al Qaeda, ma che non vedono l’ora di cacciare gli eserciti occidentali dal loro Paese».



Il blitz
Quali sono state le modalità del raid?
Osama ha opposto resistenza alla cattura, ha fatto fuoco e ha usato come scudo umano la giovane moglie 29enne.
No, Osama dormiva ed è stato sorpreso nel sonno.
No, era già morto da due giorni secondo il suo medico personale.
No, è ancora vivo secondo un’intercettazione pubblicata da un quotidiano egiziano.
Questo balletto di contraddizioni non sono ipotesi sparate a caso dai giornalisti, che ormai si bevono tutto ciò che l’ANSA o le autorità propina loro – pace pure all’anima della coscienza critica! – ma le molteplici versioni ufficiali che hanno accompagnato in questi giorni la notizia della morte del nemico numero uno degli USA. Il ricercato numero uno per la CIA ma non il most wanted per l’FBI che non ha mai potuto ufficialmente legare il suo nome all’Attacco alle Torri Gemelle e che lo aveva inserito tra i nominativi dei ricercati per solo l’attentato del 1998.
Alcuni giornalisti sono arrivati a scrivere che le informazioni sul luogo in cui si trovava Bin Laden proverrebbero da alcuni prigionieri di Guantanamo! Perché, i carcerati sepolti a Guantanamo Bay da ormai dieci anni hanno il telefono? O comunicano con i militanti in Medio Oriente tramite pizzini?
E come avrebbero fatto le autorità a entrare in possesso di queste notizie? Ovviamente grazie a una particolare opera di convincimento. Nessuno patteggiamento o benefit, s’intenda. Sarebbe stata usata invece la cara vecchia tecnica della tortura per estorcere loro le informazioni, ma a fin di bene… La Chiesa insegna che gli strumenti da Inquisizione possono rivelarsi convincenti anche con i tipi più ostinati…
Forse presto ci verranno anche a dire che Obama ha fatto bene a non chiudere Guantanamo Bay e che in fin dei conti la tortura può essere un ottimo strumento per l’interrogatorio degli elementi più “difficili”. Ma se a dirlo è un Nobel per la Pace alle prese con tre conflitti e che si augura che anche il «cappio intorno al collo di Gheddafi si sta stringendo», forse dovremmo credergli, almeno in virtù del suo animo giainista che si nutre di pace e nonviolenza…
Le modalità effettive del blitz, in ogni caso, non le sapremo mai. Magari finiranno per farci vedere il filmato dell’esecuzione – su imposizione dell’ONU – ma chissà che cosa ci propineranno veramente. Una ricostruzione in digitale? L’omicidio di uno dei sosia? Lo sbarco sulla Luna? L’ultimo film di James Cameron?
Chissà.
Per ora abbiamo dei filmini amatoriali casalinghi dove possiamo distinguere un vecchio che potrebbe essere mio nonno con una copertina di lana sulle spalle. Le fotografie e i filmati successivi al 2002 che ritraevano Bin Laden erano già passati al vaglio degli esperti di computer grafica e morphing che avevano dimostrato come l’uomo che ci volevano far credere fosse ancora Osama non era affatto lui. Qualcuno di molto simile, certo, ma sarebbe bastato un novello Lombroso per scoprirli: naso e tratti del viso troppo diversi per coincidere. Forse avevano fatto ricorso semplicemente a un sosia, come ci ha abituato anni or sono il vecchio Saddam.
Già.
Il famigerato Saddam Hussein, così come i peggiori criminali nazisti, è stato catturato e seppur in modo diverso da Norimberga, sottoposto a processo e poi giustiziato. Per Osama non abbiamo avuto questa premura.
Perché tale scortesia?

Osama preparava un nuovo 11 settembre
A quattro giorni di distanza dal raid ci è stato detto che la CIA controllava da quasi un anno la famiglia di Osama che viveva nel villaggio vicino alla città di Haripur, a qualche decina di chilometri da Islamabad, dal lontano 2003. Poi sette mesi di intercettazioni e pedinamenti per convincersi che nella villetta si stava nascondendo il vero Osama. Dai documenti sequestrati emergerebbe che nonostante l’isolamento forzato e la malattia, Bin Laden era in contatto con importanti figure di Al Qaeda e sarebbe stato in grado di pianificare i futuri attacchi contro obiettivi americani dal suo nascondiglio in Pakistan. Non avrebbe mai smesso di cospirare nel periodo di cattività. Tra i 2,7 terabite di dati nascosti ci sarebbero anche i video inediti che ora ci mostrano con il contagocce.
Questa volta l’obiettivo sarebbero state le ferrovie, ma non è chiaro di quale o quali città, il piano era ancora embrionale.
Bin Laden progettava un attentato nel giorno dell’anniversario dell’11 settembre. O forse il giorno di Natale. O Capodanno. O meglio ancora il 4 luglio. La data non era ancora chiara. Ma fidatevi! ci stava lavorando sodo dallo scorso anno…
Certo che 2,7 terabite di dati nascosti in un villino senza sorveglianza abitato da donne e bambini, non sembra strano? Otto anni nello stesso luogo senza mai destare i dubbi del vicinato.
E ci vogliono far credere che quel vecchio con la copertina di lana sulle spalle avrebbe avuto “il pieno controllo strategico e operativo” dell’intera organizzazione terroristica di Al Qaeda e che quel buco dove era nascosto sarebbe stato “il centro del comando attivo” delle operazioni?
Mi risulta facile crederlo come ai prigionieri di Guantanamo che comunicano con l’esterno. Le opzioni sono due. O la prigione di massima sicurezza è una groviera - e Obama farebbe allora meglio a chiuderla - e dall’altra il compound di Abbotabad era il centro criminale di Al Qaeda, oppure sono entrambe due clamorose menzogne e, o Osama era già morto da tempo, e lì ci abitava qualcun altro, oppure era davvero lui ma aveva scarso potere all’interno dell’organizzazione.
Ovvio che la scomparsa del cadavere sepolto in mare non può facilitare la ricerca della verità.
Non possono poi lamentarsi i giornalisti con pedigree o i politici che non sanno neanche dell’esistenza di un Lukashenko, che i complottisti si stiano scatenando in questi giorni, essendo deliberatamente andate distrutte le uniche prove che Bin Laden sia stato davvero ucciso il 1 maggio 2011 in Pakistan.
Dopo 7 mesi di appostamenti, indagini e intercettazioni, solo ora la CIA si è decisa a penetrare nel villino per uccidere Bin Laden. Perché?
Perché il medico di famiglia aveva decretato il decesso due giorni prima, come continua a sostenere?
O perché questa data torna utile a qualcuno?
Ci sono voluti quasi dieci anni per catturare Osama.
Perché lo spettro che ha terrorizzato mezzo mondo è stato catturato e ucciso davanti agli occhi della figlia dodicenne proprio ora?
Forse perchè i tempi della campagna militare in Libia si stanno allungando e dall’altra si sta cercando di decidere come affrontare militarmente l’emergenza Siria?
L’uccisione di Bin Laden – vera o falsa che sia – è un modo per spostare l’attenzione da un fallimento – la Libia – a un successo – la cattura di Osama?
Cui prodest?
Forse al Presidente Obama che ha annunciato ufficialmente la sua ricandidatura alle presidenziali del 2012 e che proprio la settimana prima della cattura del ricercato numero uno era stato costretto a rendere pubblico il suo certificato di nascita dopo quasi tre anni di battaglie legali per impedirne la pubblicazione, a causa dell’insistenza del repubblicano Donald Trump?
Coincidenze?


Obama vola nei sondaggi
Una panacea per Obama che vola nei sondaggi guadagnando nove punti percentuali di distacco dai suoi avversari che non riescono a raggranellare più del 20% dei consensi.
Mentre la gente torna a intonare il mantra che ci aveva perseguitato dal 2008, YES WE CAN!
Con la cattura del numero uno di Al Qaeda - ma poi, il nuovo leader di Al Qaeda non era diventato il cofondatore di Al Qaeda, l’ex medico egiziano, Ayman Al Zawahiri? – la frustrazione popolare per le promesse disattese dell’amministrazione Obama è sfumata lasciando spazio all’esaltazione mistica del ritrovato Messia delle masse.
Ecco in mondovisione il Nostro Premio Nobel per la Pace che si congratula con i suoi per aver tagliato la testa al Mostro. Poco importa se la violenza si è consumata davanti alla figlia dodicenne di costui. Poco importa se era possibile magari catturarlo e processarlo invece di ucciderlo. L’importante è che il corpo sia stato seppellito secondo il rituale islamico. E che sia sparito in mare. In modo da mettere la parola fine alla vicenda.
Per un figlio, Osama è ancora vivo
Ma sulla vicenda c’è anche molto da dire, con o senza cadavere. Con o senza prova del DNA. Con o senza foto ritoccate.
Uno dei figli di Osama Bin Laden sostiene che il leader di Al Qaeda è "ancora vivo". A rivelarlo il giornale egiziano al-Wafd citando fonti della famiglia di Bin Laden.
Martedì mattina "Samy bin Laden", figlio di Osama, avrebbe telefonato a "due fratelli" dello sceicco del terrore, "Khalid e Abdelaziz" assicurando agli zii "che il loro fratello è ancora vivo e sta bene e che quello che sostengono i Media è falso".


L’uomo che morì nove volte
Poi ci sono le versioni più o meno attendibili di premier, servizi segreti, informatori, giornalisti freelance che rivelano un’altra verità.
A partire dalla FOX che il 26 dicembre 2001 aveva rivelato che secondo i talebani afghani Bin Laden era morto all’inizio del mese ed era stato sepolto in una tomba senza alcun contrassegno come prescritto dalla pratica dei sunniti wahabiti.
Il 17 luglio 2002, Dale Watson, all’epoca capo dell’antiterrorismo dell’Fbi, aveva rivelato nel corso di una conferenza dei funzionari incaricati dell’applicazione della legge: «Io penso personalmente che Bin Laden non sia più con noi», prima di aggiungere con cautela: «Non ho però alcuna prova per supportare questa mia affermazione». Lasciando però trapelare che forse qualche prova ce l’aveva eccome.
Nell’ottobre 2002 il presidente afghano Hamid Karzai dichiarò alla CNN: «Giungerei a credere che Bin Laden probabilmente sia morto».
Nel novembre 2005 il senatore Harry Reid ha rivelato che gli era stato detto che Bin Laden poteva essere deceduto nel corso del terremoto in Pakistan nell’ottobre dello stesso anno.
Nel settembre 2006 i Servizi Segreti francesi fecero trapelare un rapporto che suggeriva che Bin Laden fosse stato ucciso in Pakistan. Il 2 novembre 2007, l’ex primo ministro pachistano, Benazir Bhutto, dichiarò all’inviato di Al-Jazeera, David Frost, che Omar Sheikh aveva giustiziato Osama Bin Laden, come vedremo più approfonditamente tra poco.
Infine, nel maggio 2009 il Presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, ha confermato che le sue «controparti nelle agenzie dei servizi segreti americani» non erano venute a sapere più nulla su Bin Laden negli ultimi sette anni, aggiungendo: «Non penso che sia vivo». Mentre, secondo la nuova versione “ufficiale” americana, Bin Laden avrebbe trovato rifugio proprio in terra pakistana…


Per i Servizi Segreti francesi Al Qaeda non esiste
I Servizi Segreti Francesi sostengono dal 2010 che Al Qaeda non esiste più dal 2002. Lo aveva dichiarato il capo dei Servizi Segreti francesi al Senato della Repubblica francese, il 29 gennaio 2010.
Un anno e mezzo fa Allain Chouet, già capo della DGSE (Direction Générale de la Sécurité Extérieure, il controspionaggio francese) sostenne: «Come molti miei colleghi professionisti nel mondo, ritengo, sulla base di informazioni serie e verificate, che Al Qaeda sia morta sul piano operativo nelle tane di Tora Bora nel 2002 […] Sui circa 400 membri attivi dell’organizzazione che esisteva nel 2001, meno di una cinquantina di seconde scelte (a parte Osama bin Laden e Ayman al-Zawahiri che non hanno alcuna attitudine sul piano operativo) sono riusciti a scampare e a scomparire in zone remote, vivendo in condizioni precarie, e disponendo di mezzi di comunicazione rustici o incerti». E ha concluso: «Non è con tale dispositivo che si può animare una rete coordinata di violenza politica su scala planetaria. Del resto appare chiaramente che nessuno dei terroristi autori degli attentati post 11 settembre (Londra, Madrid, Sharm el-Sheik, Bali, Casablanca, Bombay, eccetera) ha avuto contatti con l’organizzazione». Il colpo di coda è stata l’accusa diretta ai Media di fomentare l’odio verso i musulmani: «a forza d’invocarla di continuo, certi Media o presunti ‘esperti’ di qua e di là dell’Atlantico, hanno finito non già per resuscitarla, ma di trasformarla come quell’Amedeo del commediografo Eugene Ionesco, quel morto il cui cadavere continua a crescere e a occultare la realtà, e di cui non si sa come sbarazzarsi».
Le accuse di Chouet alla mancanza di eticità professionale dei Media non sono da commentare. Sono sotto gli occhi di tutti. Ma se a svelare i meccanismi a cui siamo sottoposti quotidianamente è il Capo dei Servizi Segreti, magari il biasimo potrebbe far riflettere alcuni giornalisti e portare a un ripensamento del proprio servile operato.
In questo senso Al Qaeda appare sempre più come lo spauracchio evocato da Governi o giornalisti quando occorre per giustificare una “guerra infinita” in Medio Oriente che è costata agli USA 2 mila miliardi di dollari ma che è sempre più necessaria per accaparrarsi le risorse energetico petrolifere del Nord Africa, cercando di battere sul tempo la Cina.
E il prossimo passo, sarà la Siria.


Una mossa propagandistica
Il modo di sbarazzarsi mediaticamente dello spettro dello sceicco più ricercato al mondo l’ha trovato invece Obama, un modo per risalire nei sondaggi e per allontanare i problemi del conflitto in Libia. Il momento non poteva essere migliore. La sua campagna elettorale inizierà sull’eco dell’acclamazione pubblica per la morte di Bin Laden.
A pensarla così il Capo dei Servizi Segreti Iraniani che ha dichiarato pubblicamente che il blitz dei Navy Seals sarebbe solo una montatura elettorale per far risalire il Presidente USA nei sondaggi, perché Bin Laden sarebbe morto da tempo, e nell’ambiente Medio ed Estremo Orientale la cosa sarebbe risaputa.
Politicamente Obama non avrebbe infatti potuto far meglio. Sebbene tutte le promesse della scorsa campagna elettorale siano state disattese, punto per punto, come spiego nel mio saggio, L’altra faccia di Obama, edito in Italia da Infinito Edizioni. Dopotutto Obama è il prodotto delle lobbies di Wall Street e la sua immagine di Messia multirazziale è il frutto di una magistrale operazione di marketing.
A distanza di soli tre anni la percezione che il mondo ha di Barack Obama è cambiata. Il suo modo di esprimersi gentile, pacato, cantilenante, è rimasto intatto, così come il suo carisma che ha ammaliato milioni di persone in tutto il mondo. Ci aspettiamo grande sfoggio della sua abilità oratoria anche nella prossima campagna elettorale, che, anche se non formalmente, è già iniziata.
Ma allora come adesso, dietro le promesse si è insinuata l’ombra del vecchio. Dell’establishment che non ha colore politico, che raccoglie i soliti volti di democratici e repubblicani: la Casta americana. Dietro i corposi finanziamenti della più dispendiosa campagna presidenziale della storia, si celano infatti gli assegni delle lobby. Gli speculatori di Wall Street. Le grandi Banche, che avrebbero goduto del salvataggio statale a scapito dei contribuenti. Le multinazionali del petrolio, degli OGM, della Difesa. Le Compagnie di Assicurazione.
Molti si sono accorti che il cambiamento prospettato nella passata campagna elettorale stenta a concretizzarsi, nonostante l’insediamento della nuova amministrazione democratica. Dopo un decennio di Governo Bush le aspettative dell’elettorato erano troppo alte e la pazienza esaurita, oppure il nuovo Presidente ha davvero tradito le promesse di cambiamento? Questa meteora del firmamento americano ha folgorato senza mezze misure milioni di persone dagli usa all’Europa, senza che queste potessero avere tempo e modo di domandarsi chi fosse realmente il Senatore dell’Illinois con un programma politico assolutamente elementare ma “accattivante” che della speranza e del cambiamento ha fatto il suo mantra e il suo cavallo di battaglia. Che ora sembra sempre più in continuità con il Governo Bush.
Peccato che al culmine della crisi finanziaria Obama si è schierato dalla parte delle Grandi Banche e delle lobby di Wall Street a scapito della classe media spazzata via dalla bolla finanziaria.
Perché ha fatto inoltre marcia indietro sulla rivoluzione verde?
Perché ha trascinato il Paese in un terzo conflitto e non ha apportato modifiche al Patriot Act per tutelare la privacy dei cittadini?
Sul fronte guerra e sicurezza, non sarà certo la morte presunta o tale dello sceicco a riportare pace nelle case americane. Anzi. Le minacce di nuovi attentati per vendicare la morte di quello che i fanatici consideravano un “santo” si moltiplicano. Così come si affaccia la possibilità di futuri attentati messi in atto da individui isolati e non da organizzate cellule terroristiche.
Ma l’eliminazione fisica del ricercato numero renderà sicuramente più dolci i sonni di molte famiglie americane. E’ come se il padre di famiglia abbia scacciato il Babau che si nascondeva sotto il letto per rassicurare la figlioletta di poter dormire sonni tranquilli. Ma, come insegnava Dino Buzzati, e come insegna la storia, non è propriamente l’Uomo Nero delle fiabe e degli incubi dei bambini il vero pericolo…


La verità di Benazir Bhutto
Per Barack Obama Bin Laden sarebbe morto il 1 maggio 2011. Per il medico personale di Osama il decesso sarebbe avvenuto due giorni prima. Per uno dei figli di Osama sarebbe ancora vivo.
Secondo quanto dichiarato alla BBC da Benazir Bhutto, lo sceicco del terrore sarebbe morto invece almeno quattro anni or sono. (http://www.lettera43.it/video/14673/bin-laden-e-morto-ma-era-il-2007.htm).
La prima premier donna pakistana, morta in un terribile attentato il 27 dicembre 2007 ebbe infatti il coraggio o forse la sfrontatezza di dichiarare in un’intervista televisiva condotta da David Frost che Osama Bin Laden era stato ucciso da Omar Sheik. L’intervista, visibile su internet, è andata in onda il 2 novembre 2007. Al centro del confronto con Frost i motivi e i probabili responsabili del fallito attentato alla Bhutto che era avvenuto pochi giorni prima, il 18 ottobre. Nel denunciare i responsabili del terrorismo in Pakistan, il premier dopo appena 5’30’’ di intervista nomina Omar Sheik, ex collaboratore dell’ISI, il servizio segreto pakistano, aggiungendo per descriverlo, «the man who murdered Osama Bin Laden», l’uomo che ha assassinato Osama Bin Laden. Rullo di tamburi. Benazir Bhutto si lancia in una dichiarazione del genere e David Frost, reso celebre dalla sua intervista fiume a Richard Nixon in merito allo scandalo Watergate, con 40 anni di esperienza alle spalle… non dice niente. Neanche un aggrottare di sopracciglio. Nulla. Lascia continuare la premier senza interromperla e continua incurante della rivelazione del secolo. Se fosse stato un errore (la Bhutto avrebbe nominato Osama bin Laden intendendo però riferirsi a un’altra vittima di Sheik, il giornalista David Pearl) come hanno cercato di farlo passare dalla redazione dell’emittente televisiva, avrebbe dovuto almeno interromperla con garbo abbozzando una battuta o qualcosa di simile. Invece il nulla. E poi Benazir parla con calma e cita i nomi con precisione. Non sembra che possa trattarsi di un lapsus. Inoltre l’Omar Sheik indicato dalla Bhutto è lo stesso che secondo la versione ufficiale USA avrebbe consegnato 100mila dollari a Mohammed Atta qualche giorno prima dell’11 settembre.
Forse le prove disseminate ovunque che dietro l’attentato ci sia un’altra verità diversa da quella che Bush e il Pentagono ci hanno voluto propinare è proprio qua. Davanti a noi. E la Bhutto sembrava conoscerla bene.
Era il 2 novembre. Un mese e mezzo dopo Benazir Bhutto moriva in un attacco suicida a Rawalpindi, a circa 30 km da Islamabad. Vicino al luogo dove, secondo le fonti USA, Osama avrebbe vissuto dal 2003. Ma Al Qaeda, accusata di aver organizzato l’attentato, negò con risolutezza il suo coinvolgimento, nonostante un’intercettazione telefonica del leader dei talebani Baitullah Mehsud con gli uomini che avrebbero pianificato l’omicidio. Possibile che Mehsud fosse così ingenuo da congratularsi al telefono con Maulvi Sahib per quello che definisce soltanto “l’assassinio della donna”, senza fare il nome della Bhutto ma dichiarando: «È stata una prova formidabile. Sono stati veramente dei bravi ragazzi quelli che l’hanno uccisa», riferendosi a tali Ikramullah e Bilal. Dei militanti così inesperti da parlare dei dettagli di un attentato con tanto di nomi al telefono non potrebbero andare molto lontano, e con essi l’intera organizzazione terroristica. Che invece ci vogliono far credere esista ancora e tenga in scacco il mondo intero.
Il Presidente Musharraf, indicato invece come il mandante dell’omicidio dal marito della Bhutto, si è visto costretto a dimettersi in diretta nazionale il successivo 28 agosto 2008. Ma qualcosa deve saperlo anche lui dato che a quel tempo Sheik lavorava per i servizi segreti pakistani e soltanto l’anno prima, nel 2006, nelle sue Memorie, Musharraf aveva ammesso di sospettare che Omar Sheik avesse lavorato per i Servizi Segreti Britannici, MI 6. Il che ci condurrebbe verso un’altra pista, molto più inquietante, dietro la strage delle Torri Gemelle. Gran Bretagna e USA. Avvalorata dalle cariche di esplosivi piazzati in vari piani dei grattacieli le cui tracce sarebbero state viste e udite da numerosi testimoni.
Forse è l’ora di riscrivere la storia.
Non per revisionismo.
Non per la solita controinformazione.
Ma per la verità.
Per rispetto alle famiglie delle vittime.
Per rispetto all’intelligenza di tutti noi.
Per il nostro futuro.


Malato sì, malato no
A giudicare dai farmaci trovati nella sua abitazione ad Abbotabad, non sembra che Osama Bin Laden fosse gravemente malato, come invece era noto da tempo. Nel 2001, proprio alla vigilia degli attentati, era stato ricoverato in una clinica in Pakistan per farsi curare ed era stato sottoposto a dialisi. A riferirlo era stata nel 2002 la CBS citando fonti dell’intelligence pakistana secondo le quali il leader di Al Qaeda si sarebbe trovato nell’ospedale militare di Rawalpindi la notte tra il 10 e l’11 settembre 2001. Mentre il Presidente Musharraf si sarebbe detto convinto della morte di Bin Laden per problemi renali. Lo sceicco del terrore sarebbe morto perché, costretto alla fuga dopo l’attacco al World Trade Center, non sarebbe stato più in grado di sottoporsi a dialisi.
Dal momento del ricovero sembra infatti che non avesse potuto più fare a meno dei macchinari per la dialisi, di cui, però, non c’è traccia nel compound ad Abbotabad. Dalla ricostruzione dei Navy Seals e dalle poche medicine trovate poteva al massimo avere problemi di stomaco, forse ulcera e pressione alta, ma niente di cronico o di preoccupante. Il che contrasta con le informazione che avevamo certe su Bin Laden.
Un’altra ombra sulle operazioni USA che ripropone il dubbio su chi ci fosse realmente in quel villino…
Vi viveva davvero Osama Bin Laden con la famiglia, oppure un sosia, o ancora, non essendo mai uscito e non essendo mai stato visto da nessuno nel luogo, in quel compound abitava una famiglia che doveva “sostituire” il reale Osama, morto invece da almeno quattro anni, come alcune fonti autorevoli suggeriscono da tempo?


Obama got Osama
Ricapitolando: secondo il premier pakistano Benazir Bhutto Bin Laden sarebbe stato ucciso prima del 2007 da Omar Sheik, già autore dell’omicidio del giornalista David Pearl.
Per l’ex Presidente pakistano Musharraf, invece, Osama, già gravemente malato ai reni, sarebbe morto nel 2002 perché costretto alla fuga dopo l’attacco dell’11 settembre e impossibilitato quindi alla dialisi. Versione simile a quella di Allain Chouet e del Capo dei Servizi Segreti Iraniani, secondo i quali i componenti di Al Qaeda sarebbero morti nelle tane di Tora Bora.
La versione USA – con tutte le sue contraddizioni e in tutte le sue molteplici e variopinte versioni - la conosciamo molto bene. Manca comunque il corpo che è stato gettato in mare.
Per credere che sia stato ucciso dai Navy Seals il 1 maggio 2011 bisogna fare un atto di fede esattamente come per credere alla defunta Benazir Bhutto o a Musharraf. Non vedo perché le loro versioni valgano meno di quella di Obama. Non si può certo credere che la parola di un Presidente americano sia necessariamente vera: l’abbiamo notato con tutte le menzogne di George W. Bush. E anche Obama ci ha raccontato un sacco di bugie, a partire da tutte le promesse elettorali che sono state puntualmente disattese. E guarda caso, ora che si prepara la sua ricandidatura per le elezioni presidenziali USA del 2012, la notizia della cattura e dell’uccisione del nemico numero uno ha riportato speranza nell’elettorato deluso. Tanto da aver visto non solo gente in tripudio intonare di nuovo YES WE CAN! ma addirittura la diffusione di gadget con la scritta OBAMA GOT OSAMA, per celebrare l’uccisione del Mostro.

Dunque, che cosa credere?
Né gli Stati Uniti, né il mondo, saranno più sicuri con la morte di Bin Laden. Egli era il fondatore di Al Qaeda ma da tempo non ne era più il capo. Era diventato semmai il simbolo del jihad globale per centinaia, migliaia di militanti. Pensare che dallo scalcinato compound in Pakistan detenesse il controllo della rete terroristica è ridicolo. Gli USA stanno aumentando il livello di allerta e stanno spingendo tutte le loro ambasciate nel mondo affinché prendano le dovute precauzioni contro eventuali nuovi attacchi.
Penso che l’importante sia non credere aprioristicamente a niente e a nessuno ma formarsi la propria opinione sentendo le diverse fonti e passandole al vaglio della propria coscienza. Per questo non vi chiedo di “credere” nemmeno a me. Vi suggerisco di leggere, ascoltare, e interrogarvi. Non escludete nulla a priori perché sembra pazzesco.
Perché, come ricordava Karl Popper, «il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza».