domenica 6 settembre 2009

UN BABY ALIENO IN TRAPPOLA

di Enrica Perucchietti e Paolo Battistel


Le immagini ormai sono passate nei telegiornali e negli speciali di mezzo mondo. I Format messicani che hanno battuto in lungo e largo i luoghi dell’evento riportano la notizia come “il mistero del terzo millennio”... I cuccioli degli alieni scorrazzano liberamente per il nostro mondo?
Ci troviamo veramente di fronte ad una scoperta di tale portata? O si tratta dell’ennesima bufala? Una montatura per screditare ancora una volta il campo dell’ufologia agli occhi delle masse? Può essere invece la prova dell’esistenza sulla terra di una razza proveniente da un altro pianeta o da un’altra dimensione? Oppure il frutto di un esperimento genetico di laboratorio? E se fosse un ibrido umano-rettiliano? O, ancora, un anello mancante dell’evoluzione? Prima di scomodare David Icke e John Rhodes, cerchiamo di mettere ordine ai fatti che in questi ultimi giorni sembra che abbiano assunto una piega inimmaginabile...

Trappola per Topi...
In Messico, nella città di Toluca, nota al grande pubblico per i continui avvistamenti ufo, si è verificato un singolare incontro del terzo tipo.
Il giorno 11 maggio del 2007, Marao Lopez, proprietario di una fattoria nella zona rurale ai margini della città, stava andando a verificare se durante la notte le trappole, messe per i ratti che infestano la regione, fossero scattate quando si rese conto che su una era rimasta imprigionata una creatura di tutt’altro genere. Si trattava di un essere umanoide alto all’incirca 30 centimetri che emetteva dei forti urli striduli.
Il signor Lopez pare sia rimasto molto impressionato dalla cosa, tanto che decise di imbalsamare quella creatura tanto insolita. L’uomo per non rovinarne il corpo tentò a più riprese di affogarla ma la creatura parve non soffrire particolarmente la cosa. Il fattore riferì poi che la sua preda riusciva a respirare come un anfibio. Dopo altri inconcludenti tentativi l’essere venne ucciso e imbalsamato per la personale bacheca dell’uomo.
Il mistero “degno di un thriller esoterico” si infittisce qualche mese più tardi quando l’uomo viene trovato morto dentro la sua auto carbonizzata. Secondo alcune perizie svolte qualche mese più tardi da Joshua P. Warren, un ufologo piuttosto noto nel panorama americano, l’auto con il povero malcapitato all’interno avrebbe bruciato ad una temperatura molto superiore a di quella di una semplice combustione. I sospetti di un omicidio dai tratti fantascientifici inizia così a circolare.
Una morte simile si trasformò in una efficace cassa di risonanza per il Segreto dell’agricoltore e presto giunsero nella fattoria dei Lopez ricercatori da tutto il Messico per studiare il caso. Sottoposta a continue pressioni la vedova Lopez accettò di vendere lo strano cimelio del marito. La creaturina imbalsamata fu ceduta a un’equipe di ufologi messicani tra i quali il famoso Jaime Maussan. La storia è stata così divulgata come la conosciamo noi proprio da questo esperto ufologo cinquantaseienne, pronto a scommettere tutta la sua carriera sull’autenticità del corpo. L’uomo sostiene inoltre che Lopez aveva riferito a familiari e amici che quand’era sopraggiunto nella zona delle trappole un’altra creatura, identica a quella imprigionata, era fuggita via svanendo tra la vegetazione.
Nei mesi successivi il corpo dell’essere fu sottoposto a una serie di perizie incrociate da specialisti di differenti campi, un patologo, un antropologo, un odontologista e un perito forense.
Il corpo riferì agli studiosi numerose risposte: in primo luogo ci si accorse che si aveva di fronte un carnivoro, con sviluppati incisivi adatti a strappare la carne ma privi di alcun tipo di radice, ma ciò che più sconvolse il nucleo di ricercatori giunse dai risultati dell’analisi condotta dal dott. Jesus Higuera a capo del Dipartimento Radiologico dell’Istituto di Nutrizione Messicano, che asserì con totale certezza che «Non si tratta di un Primate».
Dai primi risultati delle analisi condotte presso i laboratori dell’Università di Città del Messico, il dna della creatura non sarebbe riconducibile al dna di nessuna creatura vivente… Prima di balzare dalla sedia e in attesa della prova scientifica definitiva che sveli la vera identità della creatura, le analisi morfologiche dell’essere parlano da sé.
Quello che è stato definito dai più il “Baby Alieno” presenta infatti una conformazione scheletrica che sintetizza tratti umanoidi e quelli di un vero e proprio rettile, senza dimenticare la capacità respiratoria dimostrata dall’essere sott’acqua. Un ibrido umano-anfibio capace di camminare eretto sulla terra ma di sopravvivere anche per lungo tempo in acqua?
Il cranio è forse il tratto fisico che più lo distanzia dalle conformazioni dalle altre specie terrestri avendo la parte posteriore di questo particolarmente sviluppata e allungata, sintomo secondo gli specialisti di un’intelligenza acuta.
Probabilmente siamo vicini all’epilogo del nostro thriller. Il corpo del Baby Alieno si trova ora in Spagna, a Granada, dove in un centro specializzato si sta cercando di risalire con certezza al DNA dell’essere dopo che numerosi tentativi di questo genere non sono ancora riusciti a sciogliere l’arcano. Anche se i risultati di Città del Messico fanno ben sperare…

Un’onda inarrestabile...
La vicenda è ora giunta in Italia e, diffusa attraverso il servizio di Studio Aperto dell’1 Settembre, ha fatto capolino in Europa soprattutto grazie al servizio confezionato dall’emittente tedesca Bild che ha seguito nei giorni scorsi il clamore che il ritrovamento aveva fatto negli stati ispanici.
Attraverso le correnti del web e della tv la notizia ha ormai una portata mondiale anche se la sua attendibilità ha messo le testate giornalistiche nazionali in una posa di relativo scetticismo. Il passato ha insegnato a proceder con calma. L’entusiasmo iniziale e i proclami autenticità per il filmato dell’autopsia aliena Santilli, il video di divulgato da Victor dell’interrogatorio di un’EBE sopravvissuta a un UFO Crash, le molteplici carcasse di chupacabras rinvenute a Elmendorf e Cuero in Texas rivelatesi poi dei falsi, gli svariati avvistamenti del Mothman o del Ropen in Papua Nuova Guinea, solo per fare qualche esempio, hanno sollevato più dubbi che certezze. Almeno negli scettici. Senza fornire ancora alla dottrina dell’ufologia risposte conclusive.
Singolare risalto ha avuto anche in Romania dove nei network nazionali si era dato grande spazio nei mesi scorsi al dibattito sugli scheletri di dimensioni gigantesche ritrovati vicino ai monti Bucegi (vedi Fenix e Xtimes di Luglio). Il canale Antena 1 ha trasmesso nei giorni scorsi un lungo speciale sul Baby Alieno che ha tenuto incollato alla sedia per ore i telespettatori ancora scossi dalle rivelazioni precedenti.
In questi giorni la notizia sembra stia passando anche in Oriente dove Cina e Giappone paiono pronte ad assumere il ruolo di potenti ripetitori per quell’area.

Rettiliani, venusiani, chupacabras e anfibi
Proprio nel regno del Sol Levante le dichiarazioni di Myuki, la moglie del primo ministro Yukio Hatoyama su un presunto rapimento alieno hanno avuto grande risonanza. Per quanto riguarda non i Venusiani protagonisti dell’abduction della first lady, ma dei rettiliani, il Giappone vanta nel campo mitologico leggende inerenti il mostro Tsuchinoko, essere dalle sembianze di serpente lungo tra i 30 e gli 80 cm. Ma sono il Ryu, essere per metà rettiliano per l’altra umanoide e il popolo mitologico dei Kappa, creature anfibie umanoidi, a ricordare di più per le loro caratteristiche fisiche la creatura messicana. E se il pensiero in campo mitologico corre subito ai Naga indiani o ai Puck della mitologia anglosassone, c’è da ricordare che in America i nativi Hopi si tramandano racconti sull’esistenza di una razza di uomini rettile che vivrebbe sottoterra e chiamati Sheti o “Fratelli Serpente”. E ancora, se le testimonianze relative al famigerato chupacabras lo descrivono dall’aspetto simile a un canide, sono molti i testimoni che hanno descritto l’essere dalle fattezze invece simili a quelle di un rettile umanoide. Nel campo dell’ufologia i racconti di addotti relativi alle specie rettiliane o ibride riferiscono in genere di creature imponenti dall’altezza superiore alla media se non addirittura oltre i 2 metri, siano essi provenienti da Orione, Zeta Reticuli, Bellatrix o Alpha Draconis (a parte gli alieni rettiliani dalla testa sottile e allungata e la pelle grigio-chiara autori del presunto rapimento dell’agente di polizia Herbert Schirmer nel 1967 ad Ashland in Nebraska, descritti sotto ipnosi di media altezza, intorno ai 1,4 metri). Nella casistica delle razze rettiliane c’è però da distinguere quella dei cosiddetti piccoli anfibi, dotati della capacità di respirare sott’acqua proprio come il piccolo alieno messicano, e a cui apparterrebbero alcune creature sui 90 cm viste da Betty Andreasson durante alcune delle sue ripetute abductions.

Un precedente sugli Urali
E’ stato il ricercatore del GUFOA Zaza Edilashvill a rendere noto al mondo 13 anni fa il rinvenimento di una creatura simile al bebè alieno messicano. Nel villaggio di Kashtim, sui monti Urali, nell’agosto del 1996 un’anziana signora trovò in fin di vita un essere minuscolo dalle fattezze ibride. Pensando che fosse un neonato malformato lo portò a casa per curarlo, ma dopo appena due settimane di attenzioni la donna si ammalò misteriosamente e fu ricoverata d’urgenza in ospedale dove morì poco dopo. Anche l’essere abbandonato a se stesso non sopravvisse. La morte della piccola EBE segnò l’inizio del mistero. Lungo appena 21 cm e pesante circa mezzo chilo, il corpo venne ripreso dalla polizia di Kashtim con una videocamera VHS. In seguito il cadavere in custodia presso la polizia sarebbe passato nelle mani del KGB. Da allora se ne sono perse le tracce. Nessuna analisi, nessun riscontro scientifico. Solo di recente l’emittente georgiana, la TBU, ha reso pubbliche le immagini girate dalla polizia alimentando dubbi, paure e fantasie.

L’alieno di Portorico
Un altro caso simile di ritrovamento/uccisione di una piccola creatura mostruosa risale al 1979 ed è noto come l’xfiles dell’“Alieno di Portorico”. A rendere pubblico il caso fu l’ufologo Jorge Martin che raccontò di due ragazzi che si erano imbattuti in un gruppo di piccole creature nei dintorni di una caverna di Tetas de Cavy. Allo stupore dei due amici seguì la repentina aggressione da parte di uno degli esseri che afferrò il piede di uno dei due ragazzi. Ad avere la peggio fu proprio il piccolo aggressore che finì con il cranio fracassato da un bastone. Raccolto il cadavere della creatura e dispersi gli altri mostriciattoli nel buio delle caverne, i due amici scapparono e una volta a casa misero il corpo in contenitore pieno di alcool che poi portarono da Wito Morales impresario di pompe funebri. Quest’ultimo lo travasò in un barattolo contenente formalina per evitarne la decomposizione. Il barattolo venne affidato alla custodia di Osvaldo Santiago, ufficiale della Polizia locale, che, dopo aver indagato sull’aggressione ai danni dei due giovani e alla conseguente uccisione dell’essere, lo aveva trattenuto come prova dell’indagine. Dubbioso sull’origine della creatura Santiago interpellò un chimico forense, il dottor Calixto Perez che dichiarò che il corpo non poteva essere quello di un feto: il cranio troppo sproporzionato rispetto al corpo, l’assenza di naso e orecchie di tipo umano, gli occhi a mandorla grandi e incavati come quelli di un gatto, la bocca senza labbra né denti e le braccia molto lunghe lo portavano a pensare a un’entità extraterrestre!
La creatura aveva inoltre le mani palmate con 4 dita terminanti con lunghi artigli e la pelle lucida e verdastra. Per non parlare della pelle grinzosa come quella di un vecchio. Altro che feto! Le conclusioni del chimico non avrebbero però potuto avere riscontro nelle analisi di laboratorio perché due uomini presentatisi come membri della Nasa requisirono il barattolo con il piccolo corpo, di cui rimangono solo alcune foto scattate dal principale della moglie di Osvaldo Santiago.

giovedì 6 agosto 2009

UFO SU TORINO

di Enrica Perucchietti

Una sfera sullo Stadio Olimpico
“Erano circa le 23.00 di mercoledì sera, 5 agosto. Una serata limpida, senza nuvole. Afosa. Ero sul balcone di casa immerso in una conversazione telefonica quando all’improvviso ho notato in cielo una luce farsi sempre più nitida e vicina. Ho capito chiaramente che non poteva essere né una stella, né tanto meno un aereo a causa della sua traiettoria irregolare, a scatti. Focalizzando meglio lo sguardo ho visto che era una sfera di colore arancione. Il globo si è avvicinato verso casa mia seguendo una strana orbita a zig zag e, facendosi più nitido, ha sostato per un paio di minuti nel vuoto, come in sospensione, poi è ripartito con una accelerazione verso l’alto, in direzione di Stupinigi. Mi ha dato l’impressione che fosse un corpo di luce senziente, sicuramente non un oggetto metallico. Quasi come se esso stesso, o qualcosa al suo interno, stesse osservando qualcuno o meglio, interagendo con l’ambiente circostante. Mi ha dato l’impressione che mi stesse spiando”. A raccontare con la voce rotta dall’inquietudine l’ultimo avvistamento sui cieli di Torino è un testimone residente in periferia, di fronte allo Stadio Olimpico. Il suo è soltanto l’ennesimo avvistamento nel capoluogo piemontese, scenario, a partire da maggio di molteplici segnalazioni di Ufo nei cieli. Che, tranne in quest’ultimo caso, sembrano prediligere la zona della movida torinese e le ore serali, intorno alle 23.00. Quasi a volersi rendere ben visibili al maggior numero di gente possibile. Chi conosce Torino sa che per far meglio potrebbero palesarsi soltanto in pieno giorno.

A maggio arrivano le Flotillas
Tutto ha avuto inizio sabato 2 maggio, quando decine di torinesi si sono ritrovati in Corso Casale con il naso all’insù e un’espressione sbalordita sul volto ad ammirare le straordinarie evoluzioni di cinque oggetti luminosi nei cieli sopra la collina di Superga. Uno di loro ha avuto la prontezza di afferrare il cellulare e girare un filmato che ora sta facendo il giro del mondo e dividendo il popolo di Internet per la nitidezza delle sue immagini. Le iniziali risate e battute degli amici a cui fa seguito un crescendo di tensione e meraviglia sembrano testimoniare la veridicità del girato. Un avvistamento che precede di un mese il più eclatante caso di Ufo nei cieli di Bari, seguito da avvistamenti a Milano e Napoli, e che sembrerebbe confermare come il fenomeno delle flotillas, tipicamente sudamericano, si stia radicando anche nel nostro Paese. Con sempre maggiori testimoni come è successo negli ultimi anni in India. Sbarcato in Italia poco più di un anno fa, il fenomeno si è diffuso a macchia di leopardo, concentrandosi però nel periodo estivo su Torino e Napoli. Forse non tutti ricordano che, teatro dei primi avvistamenti estivi, è stato il meridione con le segnalazioni di massa avvenute a Bari e Taranto. In questo caso ne parlarono (stranamente) anche i giornali e il TGCOM, forse “costretti” a dare la notizia dalla risonanza che ebbe l’episodio, non senza il solito piglio sarcastico e scientista tipico dei media cresciuti a pane e CICAP. Decine di persone ,allarmate per l’ipotetica caduta di un aereo o di un corpo celeste, presero d’assalto il centralino dei vigili del fuoco e dei carabinieri per chiedere che cosa fossero quelle sfere di luce che viravano dal bianco all’arancione e che schizzavano da un capo all’altro della città con velocità inusuale. Avvistamenti ufologici e incontri ravvicinati in Puglia si documentano a partire dal 1910. Ben duecento da allora sino a oggi. Negli ultimi due anni i dischi volanti si sono conquistati addirittura le prime pagine dei giornali. Già la scorsa estate poco prima della notte di San Lorenzo, la località di Polignano era stata teatro di avvistamenti di "palle opalescenti" nel cielo notturno seguite da strani cerchi comparsi nei campi di grano a Monteiasi, vicino a Taranto. Quest’anno è stata invece la volta dei soli globi luminosi che hanno incendiato prima il cielo tra Bari e la costiera salentina intorno alle 20,30 di venerdì 12 giugno, per poi riapparire il 15 sera sul cielo di Taranto. Decine gli avvistamenti liquidati come sempre dagli “esperti” come una pioggia di meteoriti che avrebbe interessato tutto il Mezzogiorno. Chissà se la pioggia di meteoriti è la causa anche dei crop circle nei campi di Monteiasi dell’anno scorso, o se l’origine dei graffiti sia da ricercare più semplicemente nei soliti burloni o nei ricci in amore…
Torino: avvistamenti di massa
Tornando a Torino, il caso del 2 maggio oltre che a segnare uno spartiacque nella fenomenologia estiva, ha una caratteristica ben precisa: i testimoni sono decine di persone tutte concordi nel descrivere quello che hanno visto e potuto filmare: “strane luci di colore arancione che avevano un’intermittenza particolare e seguivano strane orbite”. Liquidata la possibilità che si possa trattare di evoluzioni serali di aerei civili o militari in libera uscita, rimane insoluto l’enigma sulle orbs taurinensi. Decine le persone che hanno assistito allo spettacolo da un capo all’altro della città, dalla collina fino a Pino Torinese. Un altro gruppo, formato da una decina di persone, si è fermato a guardare “una sola sfera che transitava in direzione sud proveniente da nord, all’inizio sembrava un normale aereo. A questa si sono aggiunte altre 4 sfere giallo-arancioni che seguivano la stessa direzione. Erano sparse, poi una si è messa da parte e le altre si sono messe quasi in fila, spesso si incrociavano e si scambiavano tra loro”. Nonostante le foto e le riprese con i telefonini, la notizia ha sonnecchiato eludendo astutamente televisione e quotidiani, e sopravvivendo solamente in rete. L’evento, però, si è ripetuto dopo due settimane. Dando così vita a un passaparola che ha portato il popolo di internet a domandarsi che cosa stesse, o meglio, stia accadendo nei cieli di Torino. Perché la città magica per eccellenza, aristocratica e un po’ snob, amante dell’occultismo, dell’alchimia, della magia, ma per questo refrattaria alla più “popolare” ufologia, sia diventata provvisoriamente meta turistica delle sfere luminose.

Torino: gli Ufo amano la movida
Il 17 maggio altre decine di testimoni hanno potuto scorgere nei cieli di Torino nella centralissima Piazza Vittorio, pochi minuti dopo mezzanotte, uno spettacolo di luci del tutto particolare. Anche in questo caso tra i testimoni non è mancato chi ha sfoderato l’immancabile cellulare per riprendere la coreografia delle sfere luminose. Nel filmato si notano chiaramente sei sfere muoversi con traiettoria irregolare sopra i tetti di Piazza Vittorio dove ogni sabato si riuniscono migliaia di giovani per trascorrere la serata nei locali della movida. Non solo Murazzi, casa del sindaco Chiamparino, locali alla moda, ora Piazza Vittorio è anche meta di pellegrinaggio degli Ufo. Il popolo della notte incuriosito dalla notizia passa il tempo con il naso all’insù invece che affogato nei cocktail. Altro che psicosi da alieno, Torino sembra soffrire dell’euforia per gli avvistamenti scaccia-noia del sabato sera. Il 25 luglio, infine, è un ragazzo dal suo balcone a riprendere prima le evoluzioni notturne di un’unica sfera arancione a cui si vengono ad aggiungere altri due globi luminosi in direzione di Superga. Ancora una volta l’episodio viene registrato alle 23.00. Da segnalare un misterioso lampo di luce azzurra che sembra accompagnare l’evoluzione della prima sfera (o scaturire da essa) e che colpisce un palazzo, squarciando un cielo terso di nuvole…
Flotillas tra Musinè e Vesuvio
E qui sembra che le flotillas nostrane ci abbiano preso gusto e abbiano deciso non solo di non abbandonare più lo stivale, ma di stabilizzarsi saldamente in Piemonte. Nel campo aereo compreso tra la Gran Madre e la collina di Superga. Nulla a che fare con il Musinè, almeno per questa volta. Gli avvistamenti sono continuati a giugno per subire una virata tanto eccezionale quanto incredibile negli ultimi giorni di luglio e nei primi giorni di agosto. Il fenomeno Ufo sui cieli di Torino avrebbe dell’eccezionale se non fosse che qualcosa di simile sta accadendo anche a Napoli. Se in Piemonte però, le autorità preferiscono tacere e lasciare che l’accaduto si sgonfi, in Campania le sfere di luce sono state prese più sul serio e inseguite addirittura da due caccia militari nel cielo di Pozzuoli.
Le sfere in questione avrebbero sorvolato nella notte del 13 giugno anche il cielo di Milano nel quartiere San Leonardo, e Barona. Anche questa volta un residente ha ripreso tutto con la telecamera e il girato è stato inviato al Reparto generale sicurezza dell’Aeronautica Militare a Roma, all’interno del quale dal 1975 esiste una squadra che raccoglie le segnalazioni. Gli uffici dell’Aeronautica hanno ricevuto anche un secondo video risalente al 21 giugno scorso, che riguarda invece un’apparizione a Giuliano, ancora in provincia di Napoli, in località Varcaturo: alle 21.30 appaiono nel cielo sette oggetti luminosi che procedono lentamente in linea retta. Se quest’ultimo avvistamento sembra rientrare negli episodi di massa che stanno scuotendo il territorio campano e che sono sotto stretto controllo militare, nel caso segnalato a Milano, le luci apparse intorno alle 21.45, restano per ora un fenomeno inspiegabile: nessun ente ha infatti segnalato la presenza di movimenti di aerei o perturbazioni in grado di spiegare le apparizioni luminose. L’alone di mistero rimane anche per l’Aeronautica Militare che però, all’ipotesi “alieni” tenta di gettare acqua sul fuoco ricordando che: “nessuno può dire che siano extraterrestri. Ci limitiamo ad affermare che sono oggetti non identificati”. Almeno, questa volta, ci hanno risparmiato la pioggia di meteoriti o l’uscita fuori orbita di qualche pallone sonda! Che già, senza sbottonarsi, va preso come un passo da giganti.

venerdì 22 maggio 2009

MOSE', SOMMO SACERDOTE E MAGO EGIZIANO

di Enrica Perucchietti

Secondo la tradizione biblica Mosè morì nel paese di Moab sul monte Nebo all’età di 120 anni. Fu sepolto nella valle ma “nessuno fino a oggi ha saputo dove sia la sua tomba”. Una leggenda ebraica racconta che il profeta si rifiutava di morire perché non riusciva ad accettare la misteriosa punizione divina che gli avrebbe impedito di metter piede nella Terra Promessa, a causa di un unico peccato commesso a Meriba (che la Bibbia non specifica). Egli pregò il suo Dio che almeno le sue ossa, come quelle di Giuseppe, potessero essere condotte oltre il Giordano. Irremovibile, Jahvè ordinò agli angeli di scendere, uno dopo l’altro, per prendere l’anima del ribelle, ma nessuno ci riuscì, fino a che il Signore fu costretto a scendere su di lui e a sottrargli l’anima con un bacio. Queste le parole sul Mosè mitico, metastorico. Qualsiasi ricerca sulla figura storica del profeta si muove invece in un oceano di supposizioni, di tesi scientifiche e di ipotesi azzardate che abbracciano i più svariati campi del sapere. Egittologi, teologi, psicologi, critici e romanzieri si sono occupati e appassionati alla sua figura che, nonostante la densa quantità di studi, appare più mitica che storicamente certa. C’è addirittura chi ha dubitato dell’esistenza di un singolo Mosè, proponendo come Reick, sulla scia freudiana, l’esistenza di ben tre Mosè. Che siano stati uno, due o tre Mosè, il mistero vincerà gli sforzi di svelarne l’identità.

Il faraone dell’esodo
Nonostante i pareri discordi tra gli egittologi, l’esodo biblico può forse collocarsi durante il regno di Ramses ii, al più tardi sotto il regno del figlio, Merenptah. Se la presenza degli ebrei, chiamati apiru dagli antichi egizi, è attestata già sotto Thutmosis iii, con l’avvento di Ramses ii le notizie si fanno più dettagliate. Ma nessuna fonte egiziana parla di un’uscita degli ebrei dall’Egitto! Ciò potrebbe essere spiegato con il fatto che l’esodo, o gli esodi come alcuni storici ritengono più appropriato, non sarebbero stati avvenimenti rilevanti per gli Egiziani. Grazie alle fonti storiche siamo in grado di fissare dei confini temporali nella nostra ricerca: il soggiorno degli ebrei nel deserto per quarant’anni (sempre che in questo caso, come in altri episodi biblici, il numero 40 non sia prettamente simbolico…) e la presa di Gerico che, avvenuta dopo la morte di Mosè, fissa come limite ante quem l’anno 1250. Nelle parole bibliche che attestano l’educazione di Mosè a corte e la sua adozione regale, però, lo studioso Andrè Neher ha identificato la figlia del faraone con la regina Hatshepsut, figlia di Thutmosis i, anticipando così la data dell’esodo. Il salvataggio di un bambino ebreo, fatto unico nel suo genere, troverebbe unica ragion d’essere se collocato all’epoca di Hatshepsut. Prima, infatti, gli ebrei erano considerati soltanto come schiavi-operai. Mosè sarebbe divenuto il pupilllo della regina ma, alla morte di costei, e con l’avvento di Thutmosis iii, il nostro condottiero sarebbe stato costretto alla fuga.

La tradizione esoterica: Eliphas Levi
L’occultista Eliphas Levi, nell’introduzione alla sua Storia della Magia, ha ricondotto le origini della magia alla scienza di Abramo, Mosè, Orfeo, Confucio e Zoroastro. “I dogmi della magia”, scrive, “sono stati scolpiti sulle tavole di pietra da Enoch e Trismegisto. Mosè le ha epurate e rieccole, è il senso della parola rivelare. Ha dato loro un nuovo velo quando ha fatto della santa Cabala l’esclusiva eredità del popolo d’Israele e il segreto inviolabile dei suoi sacerdoti, i misteri di Eleusi e di Tebe ne hanno conservato tra le nazioni qualche simbolo già alterato, la cui chiave misteriosa si perdeva tra gli strumenti di una superstizione sempre crescente”. E’ proprio in Egitto che la magia si completa come “scienza universale” e si formula come “perfetto dogma”. Levi ci ricorda che nulla eguaglia la saggezza incisa sulle tavole smeraldine di Ermete. L’Egitto è considerato la culla delle scienze e della saggezza; come rileva Levi, “esso riveste con immagini, se non più ricche, almeno più esatte e più pure di quelle dell’India, l’antico dogma del primo Zoroastro. L’arte sacerdotale e l’arte reale vi hanno formulato degli adepti con l’iniziazione”. Come si inserisce in tutto questo Mosè? Un’allegoria biblica ci introduce nel significato occulto della sua figura: l’Esodo riporta la spoliazione degli Egiziani da parte degli ebrei. Per Levi Mosè che incita il suo popolo a portar via i “sacri vasi”, l’oro e l’argento degli egiziani, simboleggia l’iniziazione a cui Mosè era stato sottoposto e il sapere che con la fuga dall’Egitto il profeta recava con sé: “Questi vasi sacri sono i segreti della scienza egiziana che Mosè aveva appreso alla corte del Faraone. Lungi da noi l’idea di attribuire alla magia i miracoli di quest’uomo ispirato da Dio; ma la stessa Bibbia ci insegna che […] i maghi del Faraone […] prima di tutto compirono con la loro arte delle meraviglie simili alle sue. Così trasformarono legni in serpenti, e dei serpenti in legni, cosa che può essere spiegata con gioco di prestigio o ipnosi. Trasformando l’acqua in sangue, fecero apparire all’improvviso una grande quantità di rane, ma non riuscirono a portare né mosche né altri parassiti […] Mosè trionfò e condusse gli Ebrei fuori dalla terra di schiavitù”. Qui, secondo Levi, si staglia però lo “scoglio dell’esoterismo”. Levi spiega che i cabalisti temono l’idolatria e la figura umana che attribuiscono a Dio è da considerarsi in forma meramente “geroglifica”, ossia simbolica. Ricordiamo che nel sistema esoterico di Levi la “vera scienza”, ossia la cabala o “tradizione dei figli di Seth” era stata portata da Abramo dalla Caldea e introdotta da Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, al sacerdozio egizio, infine raccolta ed epurata da Mosè e occultata sotto simboli e allegorie nei testi biblici, fino alla rivelazione finale a San Giovanni. L’esodo era l’indice che la vera scienza si stava perdendo in Egitto, perché i sacerdoti si facevano irretire dall’idolatria, pericolo che Mosè volle evitare costringendo il popolo ebraico alla fuga nel deserto. Mosè si rese conto che l’unico modo per salvaguardare le tradizioni sacre era di “creare” un popolo e di condurlo lontano dalla contaminazione dell’idolatria che imperava in Egitto. Mosè condusse il suo popolo nel deserto e proibì severamente il culto delle immagini. Ma durante il soggiorno sul Sinai il popolo si preoccupò non vedendolo tornare e chiese al fratello di Mosè, Aronne, di costruire un vitello d’oro da adorare. Nonostante gli ammonimenti e l’isolamento, i ricordi del dio egizio Api seguivano il popolo anche nel deserto. “Tuttavia”, conclude Levi, “Mosè non ha voluto lasciare nell’oblio i sacri geroglifici, e li ha santificati al culto epurato del vero Dio”. Gli strumenti sacri e cultuali del santuario, infatti, non erano altro che simboli della “rivelazione primitiva”.

Hosarsiph, sacerdote di Osiride
Il teosofo e drammaturgo francese E. Schurè ci ricorda nei Grandi Iniziati che il primo nome di Mosè, riportato da Manetone, era Hosarsiph. Questi era figlio di una sorella di Ramses ii e cugino di Merenpath, figlio e successore del faraone. Ma per Schurè Mosè era innanzitutto “il figlio del tempio, poiché era cresciuto fra le sue colonne”. Come attestato anche da Strabone e Manetone, egli sarebbe stato “votato” dalla madre fin dall’adolescenza al culto di Iside e Osiride. Così, come il filosofo Clemente d’Alessandria, Schurè credeva che Mosè fosse profondamente iniziato all’antica scienza egizia, in quanto senza di essa l’opera mosaica sarebbe incomprensibile…
Le origini
Giuseppe Flavio, nelle sue Antichità degli ebrei che si basano su fonti perdute, ricostruisce i 400 anni di schiavitù degli ebrei in Egitto, dal 1650 al 1250 a. C. circa. La nascita di Mosè fu predetta da un “sacro scriba” egiziano che informò il faraone che stava per sorgere “uno che, diventato adulto, avrebbe messo in ombra la sovranità degli egizi e che avrebbe sorpassato tutti gli uomini per virtù, acquistandosi fama eterna”. Il faraone, per scongiurare l’adempimento dell’oracolo, ordinò che tutti i bambini maschi degli ebrei fossero gettati nel Nilo. Il futuro padre di Mosè, Amram, si preoccupò avendo scoperto che la moglie era in attesa di un figlio, ma Dio gli apparve in sogno per rassicurarlo. Non possiamo dimenticare che la radice del nome Mosè è di origine egiziana, derivando dalla parola egizia moses che significa “figlio, fanciullo”, formula abbreviata che ritroviamo nei nomi di faraoni quali Thut-mosis (“figlio di Thot”), Ramses (Ra-Moses “figlio di Ra”), etc. e non dalla radice ebraica mashah che significa “trarre fuori”, da cui erroneamente mosheh “salvato dalle acque”. Ciò è stato addotto come prova alla tesi freudiana secondo la quale Mosè in realtà sarebbe stato un condottiero egiziano altolocato che solo la leggenda giudaica posteriore avrebbe reso di origine ebraica, mentre la tribù di Levi a cui, secondo la Bibbia, apparteneva, sarebbe stato il suo gruppo di fedeli accompagnatori, formato appunto da scribi e servitori leviti. La tradizione avrebbe alterato i fatti facendo di Mosè un levita. Inoltre, la storia del bambino tratto in salvo dalle acque non può non ricordare una serie di leggende e miti di re ed eroi salvati dalle acque, primo fra tutti Sargon re di Accad (2300 a. C. circa!). Questo modello “mitico” lo ritroviamo anche nel poema Mahabharata in cui l’eroe indiano Karna, nato dall’amore tra Surja, il dio Sole, e una principessa vergine, viene affidato alla corrente: un carrettiere lo trova e, insieme alla moglie, lo alleva. Del resto anche Romolo e Remo, figli del dio Marte, sono stati abbandonati dalla madre, la sacerdotessa Rea Silvia, nelle acque di un fiume. Questo tema ricorrente serve a legittimare il protagonista di una storia attraverso la sua particolare origine. La differenza della vicenda di Mosè dagli altri racconti consiste nel fatto che in genere in tutti i miti che riportano l’abbandono dell’eroe bambino, i protagonisti, Sargon, Ghilgamesh, Horus (nascosto dalla madre Iside tra le piantagioni di papiri per sfuggire alla persecuzione del malvagio zio Seth), Edipo, Perseo, Paride, Ercole, Romolo e Remo, Ciro etc. sono sempre figli di origine aristocratica e la loro nobile origine viene rivelata alla fine per legittimare il protagonista attraverso, appunto, la sua particolare origine. Con Mosè, invece, il meccanismo s’inceppa. Come ha notato Freud, è l’esatto contrario: la famiglia d’origine è modesta, anzi, nella Bibbia non vengono neppure riportati i nomi dei genitori. Essi compaiono soltanto in fonti generazionali supplementari e in testi apocrifi. Il ribaltamento della regola ha fatto riflettere Freud, portandolo a ipotizzare che Mosè, come personaggio storico non poteva che essere egiziano, un nobile, e “deve essere stata la favola a farlo diventare ebreo”.

L’educazione a corte
Il filosofo greco giudaico Filone, contemporaneo di Gesù, ci ha lasciato un utilissimo resoconto su ciò che Mosè imparò a corte: “Aritmetica, geometria, la scienza del metro, ritmo e armonia, gli furono insegnate dai più colti tra gli egiziani. Essi lo istruirono inoltre nella filosofia tradotta in simboli che si trova nelle cosiddette iscrizioni sacre”. Inoltre apprese dagli abitanti dei paesi vicini “le lettere assire e la scienza caldea dei corpi celesti”. Mosè potè approfondire lo studio dell’astrologia presso la stessa corte egiziana. Secondo Schurè, Mosè venne costretto da Ramses all’iniziazione sacerdotale per timore che il giovane aspirasse al trono. L’importante funzione di “scriba sacro del tempio di Osiride” allontanava dal trono ma comprendeva “la simbolica sotto tutte le sue forme, la cosmografia e l’astronomia”. L’istruzione presso il santuario lo avvicinava inoltre all’arca d’oro “che precedeva il pontefice nelle grandi cerimonie” e che racchiudeva “i dieci libri più segreti del tempio, che trattavano di magia e di teurgia”. Sia Giuseppe Flavio sia Filone riportano che secondo la tradizione Mosè, adottato a pieno titolo dalla famiglia reale, sarebbe stato considerato per lungo tempo come il legittimo successore al trono. Questa designazione, o gli intrighi di Ramses in favore del figlio Merenptah, gli permisero di essere iniziato ai più arcani segreti magici e sacerdotali, ovvero a uno speciale corso di studi che avrebbe dovuto includere le scienze occulte, comprese negromanzia e divinazione. Anche secondo lo storico e linguista vittoriano sir E. A. Wallis Budge, Mosè “aveva studiato i diversi rami della magia egiziana” e come ci ricorda l’egittologo e romanziere francese C. Jacq “tutti i faraoni erano maghi come parte integrante della loro carica”. Alla luce delle interpretazioni di questi autori si deve leggere l’affermazione biblica che descrive Mosè come “potente nelle parole e negli atti”, nonostante fosse carente nell’arte oratoria a causa di un problema di balbuzie: il potere dell’espressione indicava, infatti, la capacità di pronunciare formule magiche. Secondo Wallis Budge Mosè sarebbe stato a conoscenza della “corretta pronuncia” di formule magiche, così come la dea Iside era famosa per la sua perfezione di pronuncia degli incantesimi magici, e pertanto in grado, come ci ricorda G. Hancock, di “modificare la realtà e di superare le leggi della fisica alterando il normale ordine delle cose”, arrivando a compiere azioni che agli occhi dei non iniziati non potevano che apparire come prodigi.

Aton e il tetragramma sacro
Come ha giustamente rilevato Hancock, il mistero del nome sacro divino “Jahvè” affonda le proprie origini nella tradizione magica egiziana. Il nome Jahvè deriva dal tetragramma YHWH, trascrizione latina delle iniziali ebraiche della formula basata sul verbo essere “Io sono colui che sono”, che dovrebbe significare che Dio è il solo veramente esistente. Il nome divino ritenuto impronunciabile viene sostituito durante la lettura dei testi ebraici dal termine Adonai, “Signore”, termine che, per la notevole somiglianza linguistica, alcuni studiosi hanno associato non solo ad “Adonis”, divinità fenicia, ma anche al nome egizio Aton, il dio del culto “monoteistico” del faraone Akhenaton. Nel 1922, infatti, due linguisti, H. Bauer e P. Leander, dichiararono che Adonai non era una parola semitica, ma un prestito “presemitico” di provenienza ignota. Questa scoperta avallò la supposizione che tra Adonai e Aton vi fosse qualcosa di più che una casuale affinità fonetica. I seguaci di Freud poterono così ipotizzare che il nome di Aton, divinità messa al bando dai sacerdoti di Amon dopo la morte del faraone eretico Akhenaton, fosse entrata nella lingua ebraica sotto mentite spoglie con il significato di “Signore”, ma con riferimento a una divinità, anch’essa unica e assoluta.

La magia dei nomi
Durante l’apparizione nel roveto ardente, Mosè chiede a Jahvè il suo nome. Come spiegato da J. Frazer nel Ramo d’oro, lo scopo reale della domanda va ricondotto alla figura di Mosè come mago. Infatti, ogni mago egiziano “credeva che colui che possedeva il vero nome, possedeva anche la vera essenza del dio o dell’uomo, e poteva costringere persino una divinità a obbedirgli come uno schiavo obbedisce al padrone. Perciò l’arte del mago consisteva nell’ottenere dagli deì la rivelazione dei loro sacri nomi, ed egli non lasciava nulla di intentato per raggiungere questo obiettivo”. Vedendo in Mosè un sacerdote-mago si spiega il motivo della sua domanda alla quale però trova come risposta l’enigmatica formula rituale “Io sono colui che sono”. La divinità che gli si è rivelata conosce e pronuncia il nome di Mosè, mentre quest’ultimo non sa il nome dell’entità. Tenta quindi di carpire il vero nome divino, ossia la sua identità, per potersi sottrarre ai suoi comandi, ma non riesce ad ottenerlo e, dovendosi riconoscere sconfitto, non può che sottomettersi al suo volere e divenirne umile servitore e profeta. Da quel momento tutti i suoi poteri sarebbero derivati soltanto dall’onnipotenza divina, e per questo riuscì a soverchiare la potenza dei maghi di corte, il cui potere derivava soltanto dalla tradizione iniziatica.

Magia egizia
Dobbiamo infatti ricordare che le prime piaghe facevano parte della tradizione magica egiziana e proprio i maghi di corte, su invito del faraone imitarono le gesta “miracolose” di Mosè e Aronne mutando prima i bastoni in serpenti, poi l’acqua del Nilo in sangue (“ma i maghi d’Egitto con le loro magie operarono la stessa cosa”) e facendo uscire una moltitudine di rane dalle acque del Nilo. Soltanto alla quarta piaga, quella delle zanzare, i maghi tentarono di compiere “la stessa cosa con le loro magie, per produrre zanzare, ma non riuscirono”. Allora i maghi, ammessa la sconfitta, riconobbero nelle gesta di Mosè “il dito di Dio”. Ma non è solo la Bibbia ad attestare una connessione tra la tradizione magica egiziana e gli incantesimi operati da Mosè e Aronne. La trasformazione del bastone magico in serpente che avviene per la prima volta al momento della rivelazione divina nel roveto ardente, era una magia tipica dei maghi egiziani ed è per questo che il prodigio non impressiona per nulla il faraone che incita i maghi e incantatori di corte a imitare l’incantesimo. Come ci ricorda ancora Wallis Budge, fin dall’antichità i sacerdoti egizi vantavano un controllo occulto sui rettili velenosi e tutti i maghi possedevano meravigliosi bastoni d’ebano come quello di Mosè. J. Böhme ha invece insistito sull’equazione volontà-iniziazione. La volontà, che coincide con la libertà, suscitata dall’iniziazione e ispirata da Dio può condurre a compiere qualsiasi prodigio: “la Volontà che va risolutamente avanti, è la fede; essa modella la sua forma in spirito, e sottomette a sé tutto; per suo mezzo un’anima riceve il potere d’influire su un’altra, di penetrarla nelle sue più intime essenze. Quand’essa agisce con Dio, può rovesciare le montagne, spezzare le rocce […] può operare tutti i prodigi, comandare i cieli, il mare, incatenare la morte stessa; tutto le è sottomesso”.

Il Papiro Westcar
I sacerdoti egiziani si vantavano inoltre di saper controllare le acque. Così il papiro Westcar riporta una storia risalente alla Quarta Dinastia, ossia circa 1.550 anni prima di Mosè, basata sulle gesta di Tchatcha-em-ankh, un Kher Heb o Alto Sacerdote egizio legato alla corte del faraone Snofru. Il documento ci racconta di una gita in barca del faraone in compagnia di venti bellissime fanciulle. Una di queste fece cadere all’improvviso in acqua un gioiello a cui teneva molto. Vedendo la disperazione della giovane il faraone fece chiamare Tchatcha-em.ankh il quale “pronunciò alcune parole magiche e costrinse una parte delle acque del lago a sovrapporsi all’altra. In tal modo riuscì a trovare l’ornamento e lo restituì alla fanciulla […] Poi il mago pronunciò di nuovo alcune parole magiche e le acque del lago tornarono come erano prima che egli ne portasse una parte sull’altra”. La vicenda narrata dal Papiro Westcar appare analoga alla divisione delle acque del Mar Rosso operata da Mosè. Questo particolare, come le fonti ivi esposte, hanno convinto due autori così diversi ma del calibro di Wallis Budge e di Hancock dell’appartenenza di Mosè “a un’antica, e prettamente egizia tradizione occulta”. Secondo Wallis Budge “Mosè compiva con grande abilità rituali magici e aveva una profonda conoscenza degli incantesimi e delle formule magiche che accompagnavano ogni atto […] I miracoli che compì […] lasciano credere che egli non fosse solo un prete, ma anche un mago di alto livello e forse persino un Kher Heb”, un Sommo Sacerdote! Come Sommo Sacerdote Mosè avrebbe avuto accesso all’intera tradizione occulta egizia, alle conoscenze esoteriche e alle pratiche della scienza magico-religiosa che la casta sacerdotale custodiva, quel corpus di conoscenze segrete che studiosi, egittologi, avventurieri, sognatori, persino medium del calibro di Edgar Cayce, hanno invano cercato e tentano tuttora di ritrovare sotto le sabbie del deserto.