Visualizzazione post con etichetta john dee. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta john dee. Mostra tutti i post

domenica 22 febbraio 2004

VITA, AVVENTURE E MAGIA DI JOHN DEE ED EDWARD KELLEY

di Enrica Perucchietti


L’Inghilterra rinascimentale diede gli albori e conobbe uno dei più grandi e discussi maghi della storia, John Dee. Nato a Londra il 13 luglio 1527, divenuto matematico, geografo, astrologo e alchimista morì in miseria all’età di 81 anni, durante il regno di James i, grande nemico di maghi e negromanti, autore del famoso trattato Demonologia, divenuto in seguito la “Bibbia” dei cacciatori di streghe. Grazie al favore di Elizabeth i aveva conosciuto la gloria e gli onori di corte ma l’incontro con Edward Kelley ne aveva determinato la progressiva disgrazia. La sua vita travagliata e avventurosa è stata descritta dal romanziere austriaco Gustav Meyrink nell’Angelo della finestra occidentale e si dice che abbia ispirato anche Shakespeare per il personaggio di Prospero che, nella Tempesta, ha ai suoi comandi lo spiritello Ariel (l’angelo di Dee si chiamava Uriel).
Nato in una famiglia benestante, John era il figlio unico di Jane e Roland Dee. Quest’ultimo si accorse presto delle straordinarie capacità del figlio e lo indirizzò allo studio della Letteratura greca e latina. Completati brillantemente gli studi a Chelmsford, fu mandato dal padre a Cambridge, al Corso di Scienze superiori. Acquisì una cultura vastissima, lavorando con un ritmo di studio che sfiorava le 18 ore al giorno! A Cambridge si diffuse per la prima volta, seppur ingiustamente, l’accusa di stregoneria nei suoi confronti. Paradossalmente in quel periodo non si era ancora appassionato alle scienze occulte e l’accusa che gli era stata mossa era nata a causa delle sue straordinarie capacità di inventore. Era stato infatti l’artefice di un’invenzione meccanica per la rappresentazione della Pace di Aristofane: aveva creato uno scarafaggio volante o Scarabeus, che aveva davvero volato trasportando al suo interno un uomo e un cestello di cibo. Si era iniziata così a spargere la voce che avesse compiuto un tal prodigio con l’aiuto di “forze demoniache”. Nel 1546 abbracciò la passione per l’astronomia che conciliò con lo studio delle influenze astrologiche. Ottenuta la laurea di Professore d’Arte, ma insoddisfatto delle ricerche scientifiche sul suolo inglese, decise di recarsi a Louvain, vicino a Bruxelles, vivido centro culturale sede di matematici. Qui all’insegnamento oppose segretamente lo studio delle arti occulte.


La persecuzione dei Dee
Alla morte di Edward vi, ebbe inizio la persecuzione della famiglia Dee, per mano della cattolicissima Mary detta la “Sanguinaria” che aveva indetto una campagna di terrore contro i principali esponenti del Protestantesimo. Il 1553 vide l’arresto di Roland che venne presto rilasciato, ma privato dei beni e di tutte le attività finanziarie. Anche John si trovò in difficoltà economiche in quanto aveva potuto dedicarsi fino a quel momento allo studio grazie alla ricchezza del padre. Il 28 maggio 1555 John venne accusato di aver attentato alla vita della regina con le arti magiche e imprigionato. Fu giudicato prima dalla Camera stellata del Westminster, che lo prosciolse, poi da un tribunale ecclesiastico che lo condannò, in un periodo in cui anche la matematica era guardato con sospetto! Nell’agosto dello stesso anno, dopo tre mesi di prigionia, venne rilasciato su decisione di un Consiglio, forse in seguito all’intervento dell’allora principessa Elizabeth. Da quel momento John, il cui padre era morto nello stesso anno senza lasciargli alcuna eredità, si avvicinò apparentemente all’ala cattolica, riconciliandosi con la regina Mary. Si è teorizzato a più riprese che il “cambiamento politico” di Dee fosse dovuto all’attività spionistica che svolgeva per la protestante Elizabeth e che avrebbe continuato a svolgere durante il suo regno.


Alla corte di Elizabeth I
Alla morte della regina Mary, Dee venne convocato a corte e incaricato di redigere un oroscopo per accertare la data più favorevole per l’ascensione al trono di Elizabeth. Fu in questo periodo che gli venne presentato Sir Francis Walsingham, capo dei servizi segreti della nuova regina…
Nel 1563, annoiato dalla vita di corte, riprese a viaggiare; di ritorno ad Anversa ebbe modo di scrivere, si dice in soli 12 giorni e sotto ispirazione mistica, la Monade Hierogliphica, la più famosa delle sue opere ermetiche. Tornato in Inghilterra nel 1566 si stabilì con la madre a Mortlake. Qui raccolse tutti i libri e gli antichi cimeli in quella che divenne la sua famosa biblioteca e che fu tristemente depredata e bruciata durante il suo soggiorno a Praga. Sposò in prime nozze Lady Eleonore Huntington, un’amica d’infanzia della regina, che morì in circostanze misteriose neanche un anno dopo il matrimonio. Rimasto vedovo Dee entrò sempre più nelle grazie della regina che prese l’abitudine di chiamarlo sovente a corte per ricevere lezioni private… Il 5 febbraio 1578, quasi a sedare voci maliziose sull’amicizia con la regina, John sposò la giovanissima Jane Fromond, che gli diede ben otto figli.


L’incontro con Edward Kelley
Il 1582 vide l’avvenimento chiave della vita di Dee: l’incontro con Edward Kelley, un veggente dal passato oscuro. Qualche anno prima l’angelo Uriel era apparso a Dee entrando in volo da una finestra, consegnandogli una pietra rotonda e convessa simile a un cristallo nero della grandezza di un’arancia, che gli avrebbe permesso di ricevere delle visioni dai mondi ultraterreni. Dee aveva tentato di utilizzare il cristallo, ma inutilmente. Per poterlo utilizzare aveva ingaggiato un medium, un certo Barnabas Saul, le cui doti di veggente non erano però abbastanza spiccate; Saul iniziò a temere le evocazioni che Dee voleva che effettuasse e pare che rivelasse informazioni sugli esperimenti di Dee ai suoi detrattori. La seconda scelta cadde su Edward Kelley, figura circondata da un denso alone di mistero. Alcuni hanno voluto vedervi solo uno scaltro impostore che condusse alla rovina il povero Dee. Altri hanno ritenuto vere le sua capacità medianiche, nonostante la sua attività di truffatore e il suo temperamento venale dedito agli eccessi. Il vero nome di Kelley era Edward Talbott; nato in Inghilterra nel 1555, si pensa che avesse lavorato come apprendista farmacista, fino a quando fu scoperto nell’atto di falsificare documenti del suo ufficio, destituito e punito con il taglio delle orecchie (che copriva con un berretto nero aderente). Si diceva che Kelley fosse avvezzo alla magia nera e che, in compagnia dell’amico Waring, avesse praticato un incantesimo di negromanzia disseppellendo il cadavere di una donna e dopo averla rianimata costretta a rispondere alle domande dei due maghi. Kelley era entrato misteriosamente in possesso di un’antica pergamena e di due fiale provenienti dalla tomba di un vescovo. La pergamena riportava notizie utili per la trasmutazione alchemica, operazione che Kelley non era però in grado di praticare da solo. Essendogli nota la fama di Dee come alchimista si era rivolto a lui per offrirgli lo scritto e le fiale in cambio del suo aiuto. Ebbe così inizio una lunga collaborazione che fu la causa delle sventure di Dee e che ne vide la progressiva discesa nell’inferno della negromanzia e delle evocazioni spiritiche.


Le evocazioni “angeliche”
Presto riuscirono a trasformare in laboratorio una libbra di piombo in una libbra di oro. Dee assunse Kelley come veggente a tempo pieno, essendosi dimostrato abile nell’arte “medianica”. Kelley illuse Dee di poter conseguire la verità ultima sull’universo attraverso le rivelazioni angeliche. Predisse con quattro anni di anticipo l’esecuzione di Mary Stuart e la venuta dell’Invincibile Armata. Saul, durante un’evocazione, aveva ricevuto un messaggio dall’angelo Annael, che riferiva che Dee avrebbe ricevuto le rivelazioni che desiderava da colui al quale era assegnato il cristallo. La profezia convinse Dee che il prescelto fosse Kelley. Cominciarono così a evocare gli “angeli”, primo fra tutti Uriel; le loro evocazioni attirarono l’attenzione di un nobile polacco, Albert di Lasky, che la regina aveva invitato ad assistere agli esperimenti. Dee e Kelley gli riferirono che gli angeli avevano loro profetizzato che sarebbe diventato re della Polonia e che con il loro aiuto avrebbe ottenuto la vita eterna (invece lo rovinarono economicamente dissipandone le finanze!). Il principe, convinto, li invitò a seguirli a Cracovia. Il 21 settembre 1583 Dee e Kelley partirono da Mortlake con le rispettive famiglie, al seguito di Lasky. Giunti al castello furono accolti per cinque settimane con grandi onori, prima per dirigersi a Praga alla corte di Rodolfo ii, protettore di maghi e alchimisti. Sembra che l’imperatore avesse dubitato immediatamente della sincerità di Dee che fu costretto ad abbandonare Praga e a tornare, il 2 aprile 1585 a Cracovia. Ma le cose precipitarono. Essendo venuto a conoscenza della fama di Dee, il re Stefano lo accolse alla sua corte, curioso di assistere a una delle sue famose evocazioni angeliche. Ma quando si trovò presente all’atto pratico si spaventò, abbandonando i due maghi e negando loro protezione. Alla fine di luglio Dee tornò a Praga in pessime condizioni finanziarie. Lo attendevano traversie peggiori: fu infatti pedinato da Francesco Pucci, spia fiorentina del Sant’Uffizio, che su richiesta del vescovo di Piacenza aveva avuto istruzioni di condurlo a Roma per essere processato. Il 6 maggio 1586 il nunzio papale consegnò a Rodolfo ii una lettera di accusa di negromanzia nei confronti di Dee e Kelley, con la richiesta di arrestarli e inviarli a Roma. Rodolfo riuscì a eludere l’ordine pontificio, limitandosi a espellere i due maghi dai sui territori. Dee soggiornò al castello di Tresbona dal nobile Guglielmo Ursino, signore di Rosenberg dal 1586 al 1589, anno della rottura con Kelley. Quest’ultimo aveva rivelato al suo padrone che lo spirito di un angelo di nome Madimi, che si presentava sotto le sembianze di una bambina, aveva loro ordinato di condividere ogni cosa, anche le mogli! Non conosciamo l’immediata reazione di Dee. Sappiamo però che la bella moglie, Jane, rimase sconvolta dalla notizia (secondo Meyrink si suicidò) e che John, nonostante avesse giurato obbedienza ai precetti angelici, iniziò a convincersi delle mistificazioni di Kelley e della natura demonica delle entità evocate. Nel 1589, richiamato a Londra da Elizabeth, Dee abbandonò definitivamente Kelley. Tornato in patria la regina lo nominò rettore del Christ’s College di Manchester, nonostante il suo rientro fosse visto di mal occhio dalla nobiltà inglese. Alla morte della regina, avvenuta nel 1603, seguì quella della moglie Jane nel 1605: da quel momento la salute e le finanze di Dee iniziarono a deteriorarsi. Il nuovo re, James i, nemico di maghi e negromanti, gli permise, però, di trascorre gli ultimi anni di vita in pace. Si spense nel 1608 e fu sepolto nella Chiesa di Mortlake. Kelley, invece, venne imprigionato per pratiche occulte e morì nel 1593 o 1595 durante il tentativo di fuga cadendo da una finestra.

Magia Enochiana
La gente cominciò a interessarsi alla Magia Enochiana nel 1912, quando Aleister Crowley pubblicò The Equinox. Si iniziò così a conoscere la magia enochiana di Dee e Kelley, rielaborata in forma sistematica da S. L. MacGregor Mathers e utilizzata da Crowley. Il compito di Kelley era di guardare nella pietra che Uriel aveva donato a Dee, descrivendo cosa vedeva al suo interno. Qualche volta uno spirito usciva dalla pietra, parlando o emettendo profezie. Gli angeli avevano insegnato a Kelley il loro alfabeto detto enochiano (corrispondente alla lingua che sarebbe stata parlata da Adamo nel Paradiso Terrestre, prima del peccato originale, lingua dotata di una propria grammatica e sintassi). Vi sono in tutto 19 “Chiamate” o “Chiavi”; le “chiamate” venivano inoltre dettate a rovescio. La ragione di questa complicata procedura è che una comunicazione diretta sarebbe stata troppo potente e avrebbe evocato forze che i due maghi non sarebbero stati in grado di comandare. Per l’evocazione la pietra veniva posta sopra una “tavola santa” ornata di simboli e divisa in settori detti Aethyr, trenta in tutto, corrispondenti ognuno a una particolare regione del cosmo invisibile e governata da angeli. Lo spirito evocato indicava a Kelley un quadrato a cui corrispondeva una lettera nell’alfabeto edochiano che Dee trascriveva. La raccolta di queste tavole si chiama Liber Logaeth. Alla fine della trascrizione in senso inverso si ricavava un messaggio in lingua enochiana: rivelazioni, profezie e formule evocatorie per contattare gli spiriti degli Aethyr. La trascrizione del mitico Libro di Enoch avrebbe permesso a Dee, Kelley e ai successivi occultisti di compiere evocazioni e rituali potentissimi, e al tempo stesso di rendere immortale sia il mistero riguardante questo sistema magico sia il mito del patriarca biblico Enoch, creando innumerevoli teorie, tra la storia e la fantascienza, sulla tradizione enochiana.

lunedì 22 dicembre 2003

ALCHIMIA, SPIRITISMO E TRADIZIONE NELLE OPERE DI GUSTAV MEYRINK

di Enrica Perucchietti


Sposare un altro significa rimanere due. Contrarre un matrimonio è qualcos’altro; significa diventare un’unica cosa. Quello che rimane doppio, invecchia e muore, perché sta al di fuori del presente segreto


(Gustav Meyrink, La casa dell’alchimista).

Sublimazione letteraria del suo vissuto e delle teorie “tradizionali”, l’opera dello scrittore austriaco Gustav Meyrink è legata a filo doppio alla sua vita e alle sue esperienze iniziatiche.
Dopo il ritrovamento del cadavere del figlio Harro, suicidatosi a 24 anni in seguito a un incidente stradale che lo aveva costretto su una sedia a rotelle, Meyrink, straziato dal dolore e da tempo malato, si lascia morire all’alba del 4 dicembre 1932 seduto a petto nudo nella sua camera con la finestra aperta, incurante del freddo. La sua morte lascia incompiuto il romanzo La casa dell’alchimista, di cui rimangono soltanto tre bellissimi capitoli e un exposé che fanno intuire la grandezza di quello che sarebbe stato un altro capolavoro se il dolore per la perdita del figlio non lo avesse stroncato.
Meyirink nasce a Vienna il 19 gennaio 1868; è figlio naturale dell’attrice di corte Maria Wilhelmine Adelaide Meyer e del ministro del Wurttemberg Karl Freiherr Varnbuler von und zu Hemmingen. Il padre, nonostante viva a Berlino con la famiglia legittima, finanzierà i suoi studi. L’indifferenza della madre nei confronti del figlio ne suscita un odio profondo; egli trascorre infatti l’infanzia a Monaco con la nonna materna. Maria Meyer viene spesso scambiata con un’altra attrice teatrale, Clara Meyer, che era ebrea: da qui l’equivoco che Meyrink fosse ebreo.
Nel 1883 si trasferisce a Praga, la città amata e al tempo stesso odiata che sceglierà come ambientazione per molti suoi romanzi e racconti; si iscrive all’Accademia commerciale e, a 21 anni, fonda, in società con il nipote dello scrittore Christian Morgenstern, la banca “Meyer und Morgenstern”. In questo periodo il giovane suscita le antipatie della borghesia benpensante praghese, conducendo una vita dissoluta tra avventura amorose, circolo-canottieri, scacchi e duelli d’onore.
La leggenda vuole che a 24 anni (proprio come il figlio Harro) le stravaganze della vita praghese gli andassero strette e, in piena crisi esistenziale meditasse il suicidio; al momento di premere il grilletto – così riferisce nello scritto autobiografico La Guida – qualcuno avrebbe fatto scivolare sotto la sua porta un opuscolo occultista dal titolo La vita dopo la morte: quest’episodio apparentemente casuale lo distoglie dall’intento del suicidio, risvegliando nel futuro scrittore “un’ansia ardente di conoscenza, una sete struggente, inesauribile” verso ciò che trascende la mera quotidianità. Inizia così la sua ricerca nel campo esoterico che però, in principio, più che una precisa ricerca si configura come un vagare sincretico nel labirinto delle arti occulte. Il giovane Gustav si avvicina così a tutto ciò che viene fatto passare per “sapere esoterico”: il suo interesse si rivolge allo spiritismo, allo studio delle dottrine esoteriche, in particolare orientali, all’alchimia spirituale, alla magia, ai fenomeni paranormali, allo yoga sperimentando sempre tutto in prima persona, con lo stesso fervore che ne aveva caratterizzato la sfrenatezza. Studia la Teosofia di Madame Blavatsky e apprende i primi rudimenti dello yoga alla Easter School di Annie Besant. Frequenta circoli spiritistici, credendo inizialmente di avervi trovato la Via; nel 1891 fonda insieme a Karl Weinfurter la “Loggia della stella blu”.
Dieci anni dopo, a causa di un incidente sportivo viene ricoverato nel sanatorio Lehmann di Dresda, dove incontra A. H. Smitz. Costui, riconoscendogli un’incredibile facilità nel raccontare storielle, gli suggerisce di provare a scrivere con la stessa freschezza con cui parla: è così che il 21 ottobre 1901 viene pubblicato sulla famosa rivista satirica “Simplicissimus” il suo primo racconto Il soldato bollente. Tra il 1901 e il 1908 vengono pubblicate trentotto novelle che rendono il nome di Meyrink famoso e apprezzato nell’ambiente letterario. I suoi racconti fantastici, macabri e grotteschi mostrano l’accanirsi dello scrittore contro la borghesia praghese e l’ottusa mentalità militare.
La richiesta di divorzio dalla prima moglie Hedwig Aloysia Certl (l’altera Aglaia del Domenicano Bianco, il romanzo pubblicato nel 1921) scatena però le ire della borghesia che trama contro di lui: nel 1902 viene accusato ingiustamente di usare lo spiritismo nella sua professione e incarcerato; dopo due mesi e mezzo viene riconosciuto innocente e rilasciato ma la sua carriera è definitivamente stroncata. La detenzione lo ha rovinato finanziariamente e ha inoltre causato l’aggravarsi della sua malattia: solo grazie alla dura disciplina dello yoga scampa la morte. Questo episodio verrà descritto nel Golem, dove il protagonista, Athanasius Pernath, viene arrestato ingiustamente subendo la tortura del carcere praghese.
Nel 1904 si trasferisce a Vienna dove riesce finalmente ad ottenere il divorzio dalla moglie e a sposare in seconde nozze Philomena Bernt, figlia di un noto banchiere e cugina di Rainer Maria Rilke. Nel 1906 e nel 1908 nascono rispettivamente la figlia Sybille Felicitas e il figlio Harro Fortunat.
Nel 1915 esce il suo primo e più famoso romanzo, Il Golem, che, con 220.000 copie vendute, segna l’apice del successo di Meyrink. Tra i suoi ammiratori, però, molti non apprezzano quella che viene considerata un’inopportuna svolta mistica. In questo romanzo che gli diede celebrità e a cui si ispirerà il regista Paul Wegener per l’omonimo celebre film, trovano spazio gli insegnamenti cabalistici, la leggenda del golem e del suo creatore, il mitico rabbino Loew, i tarocchi intesi simbolicamente a illustrare sia le fasi del processo alchemico che le avventure del protagonista, magia, misticismo e, infine, il tema più caro alla narrazione meyrinkiana: il mito dell’ermafrodito come unione perfetta dell’elemento maschile e femminile.
Nel 1916 esce Il Volto verde, che descrive la disciplina dello yoga, le tecniche di concentrazione e il pranayama (ossia il controllo del respiro e il conseguente rallentamento cardiaco) atti a potenziare il dominio della mente sul corpo, a risvegliare i poteri magici insiti nell’uomo e a conseguire l’immortalità. L’anno successivo viene pubblicato La notte di Valpurga, il più visionario dei suoi romanzi, che unisce al misticismo la più mordace delle critiche sociali. Nel 1921 esce Il Domenicano Bianco, un romanzo ispirato al taoismo e al sapere tradizionale, che si nutre delle teorie orientali sull’alchimia spirituale. Due anni dopo viene pubblicato il suo ultimo, e più discusso, romanzo completo, L’angelo della finestra occidentale, che vede come protagonista il mago rinascimentale John Dee. Questo libro racchiude la più completa e sistematica critica di Meyrink allo spiritismo, accusato di distogliere l’uomo dalla Verità promettendogli una conoscenza illusoria che lo trascina invece in un vortice di menzogne e perdizione. Meyrink riconosce che la Verità non può che situarsi in interiore homine, rifiutando qualsiasi rassicurante soluzione trascendente né tanto meno fideistica. Meyrink, come Evola, crede in una via “pagana”, “eroica” al Divino: per lui l’iniziato è un Dio. La divinità è latente nell’uomo in quanto l’anima è quella scintilla divina che, se risvegliata, conduce l’uomo a farsi dio.

L’angelo della finestra occidentale
Julius Evola, che curò le edizioni italiane dei romanzi di Meyrink e che per primo lo fece conoscere in Italia esponendo il suo pensiero in una serie di articoli a partire dal periodo del “Gruppo di Ur” (poi raccolti in Introduzione alla Magia), riferisce che, secondo la leggenda, Meyrink sarebbe entrato in possesso di speciali manoscritti relativi alla vita di John Dee, forse addirittura i suoi diari, e che, proprio sulla base della materia biografica in essi contenuti, avesse sviluppato la sua narrazione. Non è possibile stabilire la veridicità dei molti dettagli del romanzo riguardanti la vita di John Dee che non trovano riscontro nella sua biografia ufficiale; può darsi che alcuni dei dati inseriti da Meyrink siano stati semplicemente inventati, come l’amore per la regina Elisabetta, l’alta nobiltà dei Dees e la loro discendenza da Hoel Dhat, la scarcerazione di Dee - arrestato per azioni magiche contro la regina Maria - per intervento della ancora principessa Elisabetta. Storici sono invece i suoi viaggi, l’incontro e la collaborazione con Kelley, la fuga dall’Inghilterra nel 1548 perché sospettato di congiure politiche, il rapporto - non ben precisato - con l’imperatore Rodolfo d’Asburgo e con Massimiliano II, il dissidio sopravvenuto in seguito fra il mago e Kelley, l’incendio del castello di Mortlake la sua morte in miseria nel dicembre del 1608; il romanzo trae comunque linfa dai temi cari al pensiero tradizionale, la magia, il tantrismo, la critica allo spiritismo, l’iniziazione, l’alchimia, la ricerca della condizione umana perfetta attraverso l’amore e l’assorbimento del principio femminile in quello maschile: l’androginia.

Eredità spirituale
La trama, romanzesca o verosimile che sia, s’incentra su un motivo che ritroviamo già nel Domenicano Bianco e che, come ha più volte chiarito Evola, non va confuso con il tema della reincarnazione: si tratta della concezione secondo la quale ogni essere umano, lungi dal rappresentare un “Io” autonomo, sarebbe invece la rappresentazione contingente di una sorta di demone famigliare, anteriore e superiore alla sua esistenza finita in terra e che può fornire la base e la continuità di trasmissione di coscienza, ovvero la continuità di un destino da adempiere, di una “personalità” che deve essere conseguita, attivamente conquistata attraverso la trasmissione di un particolare “destino” da un ramo all’altro della stirpe, da un antenato a un altro, lungo le varie generazioni, verso il compimento di questa eredità spirituale. Per la discendenza dei Dees, come per tutti i personaggi dei romanzi dei Meyrink, questo destino si configura come il conseguimento dell’androginia spirituale, ovvero l’assorbimento del principio femminile in quello maschile. Da solo, infatti, nessun uomo può raggiungere la Vita vera: egli ha bisogno di una compagna. Soltanto le forze congiunte dell’uomo e della donna possono rendere possibile il “Risveglio” e la conseguente immortalità. La “via del sangue” può dunque condurre a una serie di esseri imparentati fra loro che, in realtà, non sono altro che un unico essere che si ripete, incarnandosi da un avo al successivo discendente, finché una manifestazione terrena di questo ceppo famigliare non riesca ad adempiere al proprio destino, risvegliandosi e costituendo così il proprio “Io” (l’Io della stirpe): solo in questo caso il ciclo si chiude con la genesi magica di colui che è risorto in questo mondo e nell’altro, ossia che ha valicato i confini della Vita ed è divenuto un Vivente in senso eminente. Nel momento del “Risveglio”, ossia dell’unione tra l’ultimo ramo della progenie con il primo antenato, la stirpe si ricongiunge chiudendo “l’anello dell’eternità”. Per Meyrink il corpo dell’uomo è davvero “la casa in cui dimorano i suoi avi”, il conduttore dei semi che il sangue trasmette da un ramo all’altro della stessa progenie.
Il 1927 è l’anno che vede la conversione del romanziere austriaco al buddhismo; cinque anni più tardi la sventura si abbatterà sulla sua famiglia portandolo, sulle orme del figlio, al suicidio.

Praga città magica
La città magica di Praga rivive nei suoi romanzi, nella descrizione del ghetto ebraico, nell’atmosfera surreale delle leggende praghesi. Le sue opere s’ispirano solo esteriormente alla letteratura gotica e fantastica di Hoffmann e Poe, in quanto riprendono tematiche ermetiche più vicine al nucleo occulto del Necronomicon di Lovecraft che ai classici del terrore.
Le storie di Meyrink, dominate da visioni oniriche, spettri, doppi, avventure rocambolesche, intrecciano al fantastico un reale contenuto “iniziatico”, come dichiarò Evola in sua difesa, un sapere ermetico, alchemico, cabalistico. La critica all’ipocrisia borghese si tinge di grottesco, i personaggi vivono stritolati dall’angoscia del ghetto, soffocati dal peso di un’esistenza senza senso, dominati da eventi magici apparentemente inspiegabili, che acquistano senso alla fine dei racconti.
Alla base dell’opera di Meyrink si pone la “Dottrina del Risveglio”, che divide l’umanità nei ”Viventi”, i Risvegliati, ossia coloro che hanno raggiunto una superiore forma di esistenza, che sono stati iniziati al sapere e quindi svegliati alla vita vera, e i dormienti, la grande massa degli uomini, che non posseggono un vero Io, ma solo un fantasma di esso. Il pensiero di Meyrink riprende la distinzione di Gurdjeff tra la massa di uomini comuni privi di anima, e gli Iniziati che, possedendo il germe dell’immortalità lo hanno sviluppato seguendo pratiche occulte.
Nei suoi romanzi troviamo insegnamenti esoterici espressi a livello simbolico, come nel Golem, e nella Notte di Valpurga o in maniera esplicita come nel Volto verde e nel Domenicano Bianco. Come abbiamo accennato, Meyrink fu un autore molto amato da Evola, che credeva realmente che lo scrittore austriaco fosse stato iniziato al sapere “tradizionale” e fosse in contatto con maestri indù. Non ci è dato sapere nulla riguardo la sua eventuale iniziazione, né alcunché in merito alle misteriose figure di maestri indù che egli avrebbe conosciuto; le notizie sulla vita di Meyrink si confondono tra realtà e leggenda. Egli amava sottolineare che l’origine del suo scrivere erano le sue “visioni”, ossia le immagini inconsce richiamate dalla sua immaginazione attiva e stimolate dalla pratica dello yoga, le cui tecniche di meditazione sono ampiamente descritte in Volto Verde. In un’intervista Meyrink spiegò, infatti, che le avventure dei suoi romanzi erano in realtà “vesti” simboliche che riflettevano proprie esperienze e che i personaggi in realtà egli li “vedeva”.

Critica allo spiritismo
Come abbiamo anticipato, nella giovinezza Meyrink si era interessato alle scienze occulte e alla pratica della magia; per un certo periodo aveva frequentato combriccole di spiritisti, da cui si era velocemente distaccato condannandole aspramente. Nel Domenicano Bianco troviamo infatti una critica feroce allo spiritismo, capace di evocare solo “larve spettrali”, entità demoniache che irridono e ingannano l’uomo assumendo immagini di defunti cari a coloro che le evocano: «è la forza impersonale del Male ad evocare cose prodigiose grazie alle leggi mute della natura». Come abbiamo visto, per Meyrink la “personalità” non è che un miraggio, al più può essere intesa come l’ideale di un fine da realizzare: da ciò egli desume che, non potendo parlare di “anima” in senso stretto, attraverso lo spiritismo si cercherebbe invano di evocare le “anime” dei morti, e che «se gli spiritisti sapessero chi sono realmente coloro che obbediscono ai loro richiami, forse morrebbero di paura».
Le evocazioni delle sedute spiritiche sono opera della “Testa di Medusa”, “simbolo del potere pietrificante” che dietro false dottrine spinge l’uomo verso l’abisso della morte; dietro le parole degli spiriti ingannatori si cela infatti «la profezia di terribili sciagure […] la lingua biforcuta di una vipera delle tenebre. Parla del Salvatore e in realtà intende Satana». Lo spiritismo è definito da Cristoforo, il protagonista del Domenicano Bianco, una “voragine di disperazione”: è simile «ad un’epidemia di peste che inonderà l’umanità […] quando vedremo i morti risorgere dalle tombe e mentire, mentire, mentire, in modo più spudorato di ogni altra creatura della terra, perché sono entità demoniache illusorie, sono embrioni, generati da un accoppiamento infernale!».
La critica allo spiritismo di Meyrink è analoga a quella dei maggiori interpreti della Tradizione Primordiale, Julius Evola e René Guénon. In Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo del 1932, Evola svilupperà la propria condanna ai fenomeni medianici in termini identici a quelli dello scrittore austriaco, definendo la medianità come: «un metodo cosciente per ottenere o accentuare la disgregazione dell’unità interna della persona. Avendo reso libero dal corpo un certo gruppo di elementi più sottili, l’uomo diviene l’organo per la incarnazione e poi per la manifestazione nel nostro mondo (che altrimenti resterebbe loro precluso) di forze ed influenze di natura estremamente varia, ma sempre subpersonali, che il medium non può in alcun modo controllare giacché la sua coscienza o coglie soltanto degli effetti, ovvero scivola addirittura nel sonno, nella trance, nell’automatismo, nella catalessi».
Lo spiritismo è per Evola, come per Meyrink, l’avanguardia del nuovo spiritualismo; il medium si fa strumento per l’incarnazione di forze oscure e impersonali che «aleggiano ai margini della realtà, da cui sono escluse», in quanto egli fa da medium, cioè diviene un tramite per quelle forze, in modo che esse possano esercitare un’azione infernale sul nostro mondo e sulle nostre menti, che contro di esse restano indifese giacché manca la «controparte di quelle influenze di senso opposto, cioè effettivamente sovrannaturali, che le religioni, quando non si riducevano, come oggi, ad un complesso di esigenze sentimentali e di costruzioni teologiche, sapevano attrarre e innestare invisibilmente ai nostri pensieri, alle nostre intenzioni, alle nostre azioni». Lo spiritismo, in quanto trascina la coscienza verso il subnormale, l’impersonale, aprendosi a forze che non sono al di sopra dell’uomo ma al di sotto, è da intendersi come l’opposto dello yoga e dell’alchimia che, invece di “ridurre” la coscienza, la sviluppano in senso iniziatico, metafisico, trascendente, trasformandola in “supercoscienza”.
Dopo un inizio incerto tra gli spiritisti, Meyrink, grazie all’incontro con maestri indù e ambienti cabalistici, giunse a conoscenza del vero nucleo sapienziale e, secondo Evola, «fu in grado di formulare una concezione complessiva della vita ad orientamento magico e iniziatico che, sebbene esposta in romanzi – romanzi aventi alto valore artistico – per la sua chiarezza e autenticità trova difficilmente riscontro in opere dedicate specificamente a questa materia» (Evola, 1977: 102).
La Dottrina del Risveglio ha alla base l’idea che immortale sia soltanto l’uomo svegliato, l’adepto che ha percorso la via della Vita, anche se sembra che Meyrink considerasse necessaria una sorta di “vocazione” o “predestinazione”, dovuta al richiamo del sangue, degli avi che albergano nel corpo e nello spirito di ogni uomo, per avviarsi verso il cammino del Risveglio.

Il Domenicano Bianco
Il Domenicano Bianco è un romanzo metafisico, una storia iniziatica colma di insegnamenti spirituali e alchemici; il protagonista, Cristoforo, è chiamato a ricevere la conoscenza e a diventare un maestro supremo, a far parte della “Catena dei Viventi”, a trasfigurare il proprio corpo in spirito e ascendere a una dimensione superiore dell’esistenza, attraverso un cammino denso di pericoli e prove. I maestri dell’ordine segreto, ossia coloro che hanno attinto la sapienza e “varcato la soglia”, si sono incamminati dall’infinito all’eternità, sono diventati «l’anello invisibile di una catena, costituita da mani invisibili, che non si lasceranno mai fino alla fine dei giorni». È questo un altro tema centrale che esprime la credenza nella Tradizione primordiale: l’esistenza di un “Ordine” di Adepti, gli “Svegliati” appartenenti alla “catena dei Viventi”, esseri che risiederebbero in un centro occulto, situato forse in Tibet o India, da cui controllerebbero in maniera invisibile il destino dell’umanità. Questo tema riprende il mito del “Re del Mondo”, che, dalla città sotterranea di Sambhala, capitale del regno occulto della “Caverna” (Agartha), guiderebbe, da tempi immemorabili, il destino e le vicende del mondo, leggenda tibetana raccontata da Guénon, Sant-Yves d’Alveydre, Helena Blavatsky e Ossendowsky. Allo stesso modo anche il protagonista del Volto verde, Fortunat Hauberisser, decide di scrivere le proprie memorie per testimoniare la sua ricerca interiore e la scelta di divenire un anello di quella invisibile catena di iniziati.
Lo spirito di questa comunità di saggi illuminati «pervade tutta la terra; esso è sempre onnipresente […] chi è diventato cima e porta in sé inconsapevolmente la radice primordiale, entra consapevolmente in questa comunità sperimentando su di sé quel mistero che si chiama “il dissolvimento con il corpo e con la spada”». Esso è un procedimento cinese, a cui sono stati resi partecipi migliaia di uomini, sebbene continui a rimanere misterioso. Meyrink distingue il “dissolvimento con il corpo” dal “dissolvimento con la spada”; nel primo caso il corpo del defunto diviene invisibile e «costui si eleva ad immortale», mentre nel secondo caso, «al posto della salma del defunto rimane nella bara una spada […] I due “dissolvimenti” sono un’arte che, coloro che sono più progrediti su questa via, comunicano agli adepti che ne sono degni». Uno degli adepti che ha conseguito la trasfigurazione è il leggendario Tung Tschung-Khiu: «durante gli anni della sua giovinezza praticò la respirazione del soffio spirituale, purificando in questo modo le sue forme. Fu accusato ingiustamente e messo in catene in prigione. Il suo cadavere si dissolse e sparì».
Sebbene inserito in narrazioni fantastiche, il tema della respirazione controllata cinese verrà ripresa e approfondita scientificamente da uno dei massimi storici delle religioni, sicuramente il più famoso, Mircea Eliade, nelle sue opere sull’alchimia orientale (Alchimia Asiatica, Tecniche dello Yoga, Yoga: immortalità e libertà, Arti del metallo e alchimia, Mito dell’alchimia), sotto il nome di «respirazione controllata – lianqui, termine interpretabile come “trasmutazione della respirazione”», «pratica taoista della “respirazione embrionale”». Un altro elemento in comune alla trattazione dei due autori è il cinabro, che Eliade definisce «sostanza dotata di un potere talismanico e particolarmente apprezzato per le sue virtù rigeneratrici. Il suo colore rosso era ricco di proprietà vitali, essendo simbolo del sangue – il principio della vita – e svolgeva per questo un ruolo fondamentale nell’accesso dell’immortalità»; fin dall’antichità si credeva che il cinabro, «messo sul fuoco […] producesse mercurio […] “l’anima di tutti i metalli”» e per questo veniva utilizzato nelle tombe dei ricchi con lo scopo «di assicurare loro l’immortalità». Come nel caso dell’oro, della giada e delle perle, che venivano utilizzate dai cinesi come ornamenti, sia per il loro valore simbolico, sia per il principio yang di cui erano dotate, il cinabro, nel Domenicano Bianco, è il colore delle vesti degli iniziati e dà il nome al sacro “Libro Color Cinabro”, che racchiude il segreto del sapere alchemico: l’immortalità. Solo colui al quale esso si dischiuderà rivelando i propri segreti «non lascerà nessun corpo dietro di sé, si porterà nel mondo dello spirito un lembo di materia e vi si dissolverà. In questo modo egli lavorerà alla Grande Opera dell’alchimia divina; trasformando il piombo in oro, l’infinito in eternità…». Attraverso l’insegnamento alchemico, lo spirito di luce che pervade i corpi degli uomini si consoliderà «finché, divenuto un raggio di luce, inizierà a comprendere le maglie della rete del corpo e si congiungerà con la grande luce […] Nel libro Color Cinabro è scritto: “Qui si cela la chiave di ogni magia. Il corpo non può nulla, lo spirito può tutto. Allontana ciò che è del corpo, allora il tuo Io, quando si sarà completamente denudato, comincerà a respirare come puro spirito”».
Lo scopo dell’alchimia spirituale è risvegliare “consapevolmente” la spiritualità che giace in potenza nell’adepto; seguendo i precetti della “Tradizione” il miste deve trasfigurarsi, spiritualizzando il proprio corpo per dissolversi trapassando in una dimensione più elevata. La trasmutazione conduce all’eternità, alla vita eterna; Cristoforo, superate le prove iniziatiche sprigiona «le forze magiche che giacciono assopite in lui» e viene ammesso nell’Ordine degli illuminati: «mani invisibili afferrano le mie con la presa dell’ordine, mi inseriscono in una catena vivente che si perde nell’infinito. Viene arso ciò che in me c’è di corruttibile, la morte lo trasforma in una fiammata di vita. Rimango eretto in una ignea veste purpurea, mi cinge i fianchi la spada di ematite. Sono dissolto, per sempre, con il corpo e con la spada»: così si conclude Il Domenicano Bianco.

Androginia spirituale
In tutti i suoi racconti iniziatici Meyrink inserisce il “senso occulto dell’unione matrimoniale” in relazione all’androginia e alla tecnica alchemica di realizzazione spirituale. Nel Volto verde, il cabalista ebreo Ismael Sephardi, illustrando la “Via della Vita” che conduce alla forma superiore di esistenza dei “Viventi”, degli adepti alla Dottrina del Risveglio, afferma che l’uomo da solo non è nulla e non può giungere a quella meta: «un uomo da solo non può raggiungere questo traguardo [oltrepassare il “ponte della vita”], ha bisogno di…una compagna. Solamente le forze congiunte dell’uomo e della donna rendono possibile l’impresa. Proprio qui sta il senso più profondo del matrimonio, quel senso che l’umanità ha smarrito da millenni». Questa unione magica rimonta all’androgine, alla realizzazione, platonico-alchemica, dell’essere completo.
Come ha spiegato Evola in un articolo del 1972, l’idea base è che l’istinto sessuale sia la “radice della morte”, ma che non bisogna sforzarsi invano di estirparlo come fanno gli asceti; essi «vogliono conquistarsi quella freddezza magica, senza la quale non si può andare al di là della condizione umana, e fuggono perciò la donna. Eppure solo la donna è colei che è in grado di recare loro aiuto». Il compito dell’uomo non è quindi sfuggire la donna, ma assorbirne il principio femminile, in terra disgiunto da quello maschile, «deve entrare in quest’ultimo e fondersi in uno; solo allora si placheranno tutti gli struggimenti della carne»; solo con questa unione occulta, “che non è priva di pericoli”, si compieranno le nozze alchemiche e si realizzerà quella «freddezza magica che spezza le leggi della terra […] dalla quale sgorga, come dal Nulla, tutto ciò che è in grado di creare il potere dello spirito».
Gli insegnamenti gnostico-esoterici all’origine delle opere di Meyrink si propongono il ritorno all’unità originaria; da un punto di vista psicologico e non “tradizionale”, Alessandra Pepe ha interpretato in chiave junghiana il mito dell’androgino come il tentativo di «realizzare la totalità conscia e inconscia della psiche attraverso l’integrazione del proprio Sé», illustrando, quindi, il tema dell’androginia, consistente nella «conquista del proprio istinto sessuale […] tramite l’unione con il principio femminile presente nell’uomo», come rivisitazione simbolica del junghiano processo d’individuazione. Le donne dei romanzi di Meyrink sarebbero, dunque, personificazioni dell’elemento femminile che l’uomo deve integrare per conseguire l’unità; Meyrink, «prima ancora di Jung, aveva dunque compreso il significato simbolico delle “nozze alchemiche”».
Nel Golem è Miriam, la donna che si unirà in legame eterno con mastro Pernath, a illustrare il tema dell’androginia: «è uno dei miei sogni […] immaginare che la meta ultima è la fusione di due esseri […] in quello che può essere simboleggiato dall’Ermafrodito […] intendo dire l’unione magica dei generi maschile e femminile in un semidio. Come meta ultima! Neanche, non meta ultima, ma principio di una vita nuova, eterna – che non ha fine». E quando il protagonista, ancora inconsapevole di esserne l’anima gemella, le chiede se spera davvero di trovare un giorno la sua perfetta controparte maschile, e se non ha paura che invece non esista o che risieda nella parte opposta della terra col rischio di non incontrarla mai, ella risponde semplicemente che se non dovesse mai incontrarla la sua vita perderebbe senso: «se fosse separato da me nello spazio e nel tempo […] o dall’abisso del non riconoscersi a vicenda, e dunque non lo trovassi: ebbene, la mia vita non avrebbe avuto scopo alcuno, sarebbe stata il gioco senza senso di un demone imbecille».

Evola e Jung
Evola cita Meyrink nelle proprie opere in più riprese; in Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo del 1932 presenta il pensiero del narratore austriaco nella sezione dedicata alla magia, intesa come “attitudine metafisica”, nel mondo moderno, a fianco di Giuliano Kremmerz ed Eliphas Levi per i quali il mago è «lo svegliato per eccellenza- colui che è e che può, in virtù non di mezzi indiretti o esterni, ma appunto per via della stessa superiorità che il suo “risveglio” gli ha conferita nell’ordine di quelle forze più profonde». Secondo Evola, per Meyrink il «problema “dell’aldilà” esiste già nell’al di qua. “Coloro che non imparano a vedere qui, di certo non impareranno là”». Per Meyrink l’immortalità è risveglio, e il risveglio è «“crescenza interiore oltre la soglia della morte”, cioè in uno stato indipendente dalle impressioni esteriori e dalle eredità interiori. Gli “svegliati” sono i “viventi”, gli unici, sia in questo che negli altri “mondi”, che non siano dei fantasmi. Meyrink: “Nell’aldilà non vi è alcuno di coloro che sono partiti ciechi dalla terra” […] Meyrink: “Veramente immortale è l’uomo compiutamente sveglio. Gli astri e gli dei se ne vanno; solo lui rimane e può tutto ciò che vuole. Sopra di lui non vi è alcun dio. Quello che l’uomo religioso chiama dio, non è che uno stato. Questa stessa esistenza non è che uno stato. La sua inguaribile cecità gli para davanti una barriera che egli non osa scavalcare. Egli si crea una immagine per adorarla, anziché trasformarsi in essa”». L’ascesi magica consisterebbe dunque in un “denudarsi” dagli elementi e aggregati dell’“io storico”, affinché «ogni distacco valga come una interiore formazione, una crescenza oltre il suolo di quell’Io». Se Evola parla quindi di Meyrink in vari contesti dai Saggi sull’Idealismo Magico agli articoli della maturità, Gustav Jung si riferisce all’intreccio narrativo del Golem in Psicologia e Alchimia, esaltando il valore visionario dei suoi romanzi. Lo psichiatra svizzero cita due volte Il Golem nella seconda parte di Psicologia e Alchimia, sezione dedicata allo studio e all’interpretazione dei sogni; Jung si sofferma, una prima volta, su un modello di sogno ricorrente, lo scambio di cappello tra due persone in società. Questo tema è all’origine del Golem, in cui il protagonista, nel Duomo di Praga, scambia inavvertitamente il proprio cappello con quello di un altro uomo, un certo Athanasius Pernath, intagliatore di pietre, e ne rivive la vita. Jung cita una seconda volta il romanzo dello scrittore austriaco riguardo un altro sogno che si ritrova come episodio onirico nell’intreccio narrativo del Golem: l’offerta di monete d’oro da parte di una persona e il rifiuto del sognatore a prenderle. Nel romanzo il protagonista rifiuta l’offerta di “grani” da parte di un “orribile” essere incappucciato, colpendogli la mano e facendo cadere in terra i grani; verso la fine del racconto Athanasius scoprirà il senso dell’incontro con quella creatura. I grani rappresentano le forze magiche; rifiutandoli e facendoli rotolare sul pavimento il protagonista arresta il tempo della “germinazione” delle forze magiche che “sonnecchiano” in lui e che verranno “custodite” dai suoi progenitori: «l’anima non è nulla di ‘singolo’– ha da diventarlo, e ciò si chiama “immortalità”» L’anima di ogni uomo si compone di molti “io” ereditati dai propri avi, così che un adepto, ricevendo le forze magiche dai propri antenati, porta a compimento il processo di iniziazione cominciato dai progenitori; questo tema è ripreso e completato nel Domenicano Bianco.
Il simbolismo del Golem, come di tutte le altre opere di Meyrink, è straordinariamente complesso e intreccia a motivi onirici e fantastici, insegnamenti esoterici che non possono assolutamente essere ridotti soltanto all’analisi junghiana dell’inconscio.